Scheda film

Regia e Sceneggiatura:: Joshua Oppenheimer
Fotografia: Lars Skree
Montaggio: Niels Pagh Anderson
Musiche: Seri Banang
Danimarca/Norvegia/Finlandia/Regno Unito, 2014 – Documentario – Durata: 100’
Uscita: 11 Settembre 2014
Distribuzione: I Wonder Pictures

Sale: una decina

 La finestra sul male

Evidentemente a Joshua Oppenheimer non è bastato sconvolgere il mondo con The Act of Killing (2013), ma ha voluto chiudere il cerchio con “The look of silence”.
Gran premio della Giura a Venezia 71 ed indubbiamente vincitore morale del Leone d’Oro, questo cine-documentario riprende la tematica del suo predecessore del 2013: il brutale assassinio di circa un milione di indonesiani durante la purga comunista a metà degli anni 60’.
Sotto la dittatura del presidente Suharto (con il suo “Nuovo Ordine”) l’esercito indonesiano fece piazza pulita di coloro che si dichiaravano comunisti, ed in nome della democrazia e della pace giustificò uno dei più oscuri ed oscurati genocidi di sempre.
In The look of Silence viene spostato l’accento sulle vittime di questa assurda esternazione del male umano. Se in The Act of Killing viveva evidenziato il glorioso autocompiacimento dei carnefici che si dichiaravano gangsters in piena regola, imitando nella realtà i divi americani dell’epoca attraverso corruzione, morte e nessun rimorso; in questo nuovo lavoro troviamo il controcampo personale di Adi, un semplice optometrista di 44 anni al quale fu ucciso e fatto a pezzi il fratello dagli squadroni della morte. Egli intraprende un viaggio nel terrore e nell’atomizzazione della sua comunità andando a visitare (con la scusa di una visita oculistica) ed intervistare le persone che hanno contribuito alla sua grave perdita famigliare. Il protagonista è alla ricerca di risposte e pentimento, al contrario troverà vanità, eroismo e fermezza nelle parole e nei volti dei colpevoli.
Lo splendore di una fotografia vivace, colorata e raffinata degli ambienti famigliari di Adi e dei suoi cari fa da contraltare al mare nero pece che ondeggia senza freno nelle anime della società in cui vive, nella quale sono presenti e assolti gli aguzzini di suo fratello.
In questo documentario ci viene mostrata una “normalità” assurda, che disorienta. Un esempio è la pratica di bere il sangue delle vittime dopo avergli provocato amputazioni e dolori atroci; si sconfina così nel vampiresco e nel macabro, giustificando l’atto come rimedio contro la pazzia.
Uno tra gli aspetti più rilevanti e potenti di questa opera sta nello “sguardo”. Durante le conversazioni tra lo sconfitto ed i boia la telecamera è il mezzo che stimola ad esternare i propri pensieri, che scruta i volti in attesa delle risposte.
Ogni tipo di sguardo è sotto la lente d’ingrandimento: la capacità tra gli interlocutori di sostenere lo sguardo sotto la pressione di accuse infamanti, lo sguardo dello spettatore che aspetta con hitchcockiana suspence l’evolversi dei dialoghi ed entra anch’esso nello schermo vivendo in prima persona gli eventi. Una soggetività e in qualche modo autorialità da parte del regista che ricorda il pensiero del primo teorico del cinema documentaristico: Grierson, il quale sosteneva che il documentario non doveva essere la sola riproduzione oggettiva dei fatti ma un’attenta soggettiva della vita scaturita da uno sguardo sul mondo. E qui, l’occhio scava negli atteggiamenti e nella profondità di un mondo al contrario dove il perseguitato prova ancora dolore e il seviziatore estremo piacere.
La sceneggiatura si snoda tra questi avvenimenti e la quotidianità dei genitori del protagonista.
La madre di Adi, segnata dagli orrori subiti, accudisce il marito ultracentenario ormai sordo, cieco e praticamente disabile. La condizione del vecchio è la metafora più evidente del’’impossibiltà di agire, di ribellarsi, di trovare uno spiraglio di luce nel buio. Tutti i sensi sono messi a tacere dall’orrore di questo impunito genocidio.
L’opera di Joshua Oppenheimer, ricavata da più di 1.000 ore di riprese, colpisce come un destro in pieno volto. Le sequenze trovano riscontro nei contenuti e il tutto assume un profilo realista con venature di estrema eleganza. Una nuova strada del documentario è stata aperta e speriamo di percorrerla ancora magari con degli argomenti più umani e meno angosciosi.
Assolutamente da vedere per capire che la follia dell’uomo non ha limiti.

RARO perché… è un documentario riuscito quanto agghiacciante!

Voto: 8

David Siena