La storia avvincente di un ufficiale dell’esercito britannico che, un secolo fa, si era avventurato in un regno inesplorato della giungla sudamericana alla ricerca di una presunta civiltà antica, The Lost City of Z è un raro pezzo di cinema classico contemporaneo; la sua narrazione metodica, lo stile tradizionale e il tema ossessivo sono tipiche del cinema anni 70, stile Herzog di Aguirre.
Basato sul best-seller del 2009 di David Grann, la sceneggiatura dello sceneggiatore e regista James Gray può includere solo una minima parte delle informazioni storiche contenute in un libro di saggistica. Il film si attiene alla tematica saggistica, evitando incursioni sociologiche o politiche.
La pellicola onora lo spirito del rischio fisico, la curiosità intellettuale, l’audacia individuale e il sacrificio di sé.
Ufficiale dell’esercito britannico robusto, Fawcett viene da mezzi modesti, non dalla classe dominante. Tuttavia, ai fini della mappatura dei reami finora inesplorati della Bolivia orientale e della zona di confine imprecisa con il Brasile, la Royal Geographical Society lo sostiene nel lanciare una piccola spedizione in un’area che è letteralmente vuota sulle mappe dell’epoca. Fawcett quindi lascia la sua moglie Nina (Sienna Miller) nel 1906 in quello che promette di essere una avventura di due anni nella fitta giungla. Minacce sia naturali che umane si nascondono ovunque. Mentre Gray fa un bel lavoro a bassa voce per far scorrere il viaggio allo spettatore, insieme agli esploratori, dai confini del conosciuto al mondo stato selvaggio, i lettori del libro di Grann potrebbero perdere lo straordinario inventario di terribili predatori della giungla. Tribù amichevoli e ostili occupano la foresta amazzonica e, mentre Fawcett non sa mai quale incontrerà, sviluppa una fiducia particolare con queste tribù che impara a gestire.
A trasformare Fawcett da semplice mastro cartografo in ossessivo è la sua convinzione che una grande città giace sepolta da qualche parte nella giungla. Verso la fine del primo viaggio trova alcune antiche ceramiche e frammenti di altre prove per le quali nessuna spiegazione è plausibile. Ma a differenza di Indiana Jones o degli amati eroi di Kipling di Fawcett, questo esploratore ha una vera vita da affrontare. Lo doleva sinceramente di stare lontano dalla moglie, e dal suo giovane figlio Jack, che lo saluta con la domanda: “Sei mio padre?” . La ricerca della sua ossessione da parte di Fawcett viene quindi rimandata di oltre un decennio, principalmente dalla prima guerra mondiale. Sebbene si avvicini ai 50, il colonnello si butta nella mischia.
Fawcett all’inizio degli anni ’20 è così convinto dell’esistenza di “Z” (ed è ora così immerso nel misticismo) che traccia una terza spedizione con il figlio Jack (Tom Holland) come compagno. Il grigio si sposta in modalità lirica avanzata in questo tratto culminante, mentre Fawcett procede, come se fosse attirato da un senso di destino personale, in un’area che viene avvertita è popolata da tribù ostili e in guerra.
Una gradita differenza tra The Lost City of Z e la maggior parte dei film dedicati all’avventura maschile è che, qui, i “tempi morti” trascorsi con moglie e famiglia sono vivi e intrecciati. Gray chiaramente prende sul serio il conflitto tra la domesticità e il richiamo della natura selvaggia ed è molto aiutato da Miller, che porta davvero in vita Nina Fawcett.
Alla fine, anche se Fawcett potrebbe non classificarsi al livello più alto degli enigmatici eroi esploratori britannici come James Cook, Ernest Shackleton senti che è indiscutibilmente imparentato.
Squisitamente girato (su celluloide) da Darius Khondji nell’Irlanda del Nord e nella giungla colombiana, il film supera i suoi mezzi limitati sotto ogni aspetto, creando un piccolo capolavoro di emozioni ed atmosfera.
Da vedere assolutamente.
Voto 8
Vito Casale