Strani clienti quelli del “Million dollar hotel”, dei folli gentili che consumano vita nelle stanze di un posto che sembra la mecca dei diversificati o dei sogni incompiuti. Sprazzi di Wenders, che in un format hollywoodiano, ogni tanto ricorda a sé stesso e a noi che “Alice nelle città”, ” “Paris-Texas”, “Lisbon Story” o “Buena Vista Social Club”, li ha “scolpiti” lui dal marmo del cinema. La poesia fa la parte di un’immagine che pulsa, ogni tanto, in tappeti di luce blu stagliati sopra gli scenari che agitano i protagonisti, verso Los Angeles in “attardeser” vista dietro una finestra dal decimo piano, poiché gli androni del film concedono poco a facili appaganti tornaconti emotivi. Quando arriva, il flash del bello bisogna coglierlo, perché mai come in questo film la virulenza del piacere è effimera, è un treno merci in transito. Sopra ci stanno, oltre alle merci (Mel Gibson), dei clandestini, gli “infiltrati” nella società funzionante e buonina, le prostitute, i drogati, i disadattati, i pazzi convinti che la storia si è dimenticata di loro, come quel “quinto” beatles che vive nella 708 e che compra solo sigarette di marca Mariyuana, o quella Sally che non riesce a convincersi di esistere, credendo più alle ombre di cui è fatto il mondo.
Per quel poco di Wenders che c’è, conviene in ogni caso accontentarsi, magari tornare a guardarlo tre o quattro volte, chè in fondo non si può fare a meno nemmeno di un pezzetto, per esiguo che sia, del fascino del suo cinema, che è sempre una dose in immagine d’amore.L’unico cineasta che, anche di fronte a film sottotono, riesce a far vivere fuori dal cinema, il giorno dopo, brandelli di opera, scampoli dell’ennesimo “movimento”, stavolta però forse davvero un pochettino “falso”, un piccolo, anche se di classe, mancamento.
Gianluca Mattei