La parola sesso ci fa pensare in prima battuta alla giovinezza, quando al massimo splendore fisico si affianca la capacita’ emotiva di dare concretezza al desiderio. Stando al cinema, che riflette la vita, la sessualita’ sembra poi annacquarsi con la stabilita’ affettiva, sfuma in perversione nella solitudine e muore completamente nella vecchiaia.Uscendo dalla perversa, quella si’, necessita’ di rinchiudersi in un’etichetta, con una vita (s)regolata sul palinsesto televisivo, conformata alle copertine dei rotocalchi e fondata su un confronto distruttivo, puo’ capitare di porsi domande non banali e di provare a cercare risposte. E’ quello che fa Roger Mitchell, trasponendo in immagini il romanzo omonimo di Hanif Kureishi (gia’ prestatosi al cinema con “My Beautiful Laundrette” e “Intimacy”, e qui in veste anche di sceneggiatore). La protagonista e’ infatti una donna ormai anziana che, rimasta vedova, riscopre con un prestante giovanotto le ebbrezze del piacere fisico e dell’amore. Il problema e’ che il ragazzo e’ il fidanzato della figlia. Un soggetto di questo tipo puo’ risolversi in commedia (vedi “Tutto puo’ succedere” di Nancy Meyers), oppure in dramma. E Mitchell opta per quest’ultimo, rifiuta soluzioni e stile da blockbuster (nonostante i trascorsi a “Notting Hill”) e sceglie atmosfere di ordinaria urbanita’ londinese, immergendo i personaggi nella mestizia del grigiore domestico. Ed e’ proprio questo contorno cosi’ convenzionale, a partire dal rigore quasi “dogmatico” della messa in scena, a soffocare l’interesse verso il conflitto della protagonista. Se infatti bisogna riconoscere al film la rara capacita’ di restituire dignita’ alla vecchiaia (con una brava e coraggiosa attrice sessantottenne, Anne Reid, che sembra proprio una sessantottenne e non fa nulla per nasconderlo), e’ anche vero che i personaggi che popolano questo teatrino di bigia umanita’ non escono dal luogo comune: la figlia rancorosa, il figlio in carriera, la nuora spendacciona, i nipoti (pessimi attori) indifferenti, l’amante “scoppiato”, tutti cinici e disperatamente bisognosi di un affetto che sono solo capaci di pretendere e non di dare. La regia, poi, sembra preoccuparsi di mantenere sempre un gelido distacco tra schermo e spettatore e finisce per forzare in modo grottesco alcuni sviluppi, anche cruciali (i disegni pornografici che fanno scoprire la liason, il tentato suicidio della madre interrotto in extremis dalla figlia assetata di vendetta); mentre ne azzecca con efficacia altri (la rappresentazione del sesso, disperato con il pretendente coetaneo e appassionato e liberatorio con l’amante; il rassicurante e mesto tepore casalingo esplicitato nelle pantofole del marito in docile attesa sulla soglia di casa). Il punto di vista di cui si diventa testimoni e’ quindi importante e tutt’altro che banale ma, complice anche la sceneggiatura, non riesce a diventare davvero illuminante come le premesse lasciavano sperare.
Luca Baroncini (da www.spietati.it)