Per circa un anno, a partire dal 1966, alcuni abitanti del piccolo paese di Point Pleasant, nel cuore della Virginia, furono vittime di strane premonizioni/allucinazioni e testimoni dell’avvistamento di un uomo-falena alto circa due metri, con ampie ali ed occhi di fuoco. Non semplice trarre un film dall’episodio, ancora irrisolto, forse piu’ facile utilizzarlo come ispirazione per una puntata di “X-Files”. Invece Mark Pellington, dopo il teso e riuscito “Arlington road”, ci prova, con risultati discontinui. La regia avvolge i personaggi alternando morbidi movimenti della m.d.p. con brusche sterzate che permettono il coinvolgimento, perlomeno visivo. L’impaginazione e’ molto elegante e la fotografia sfrutta al meglio il rigido clima invernale, creando un’atmosfera cupa. Credibile anche l’interpretazione di Richard Gere, meno divo e piu’ vulnerabile (nonostante qualche strizzatina di occhi un po’ di maniera), e della brava Laura Linney, poliziotta di provincia a rischio solitudine. Quello che manca, pero’, e fondamentale dato il soggetto misterioso, e’ un po’ di sana inquietudine. La colpa e’ soprattutto della sceneggiatura, che crea premesse interessanti ma, o non le risolve, oppure sceglie la strada dell’ovvieta’. Stimolante, ad esempio, pur nella sua non originalita’, il confronto tra un forestiero e il microcosmo di un paese, ma lo script non sfrutta le possibili complicita’ sotterranee, lasciando interagire il protagonista solo con un cittadino (personaggio, tra l’altro, che non suscita il minimo interesse) e pochi altri. Tant’e’ che quando, verso la fine, la poliziotta chiama al telefono Richard Gere dicendogli “Tutti ti stiamo aspettando!”, piu’ di una voce si e’ levata dalla sala cinematografica dicendo “Tutti chi?” Becera la solita voce dai bassi amplificati che echeggia al telefono impersonando l’entita’ misteriosa e davvero appiccicata e caricaturale la figura del trito espertone del soprannaturale. Discutibile, invece, la scelta di non mostrare mai nulla delle visioni che suscitano il terrore negli abitanti di Point Pleasant. Se, infatti, e’ apprezzabile il tentativo di evocare la paura, lasciando spazio all’immaginazione dello spettatore (suggestiva la soggettiva del mostro che fissa una donna alla finestra), i tanti flash orrorifici, anticipati da un rosso pulsante, dopo un po’ non provocano alcun sussulto. Si sente la mancanza di qualcosa di concreto, di un pericolo imminente. Forse sarebbe bastato un dettaglio a cui aggrapparsi, oppure un approccio meno onirico e piu’ viscerale in grado di fare uscire allo scoperto paure ancestrali che, invece, restano sopite in un cieco torpore.
Luca Baroncini