La vendetta è un piatto che va servito freddo.
Tra tutti i personaggi marvel, The Punisher è forse l’unico umano, umano nel senso che non possiede particolari poteri come gli X-men o L’Uomo Ragno. E probabilmente, è anche l’unico film il cui cattivo non è potente fisicamente, un villain che non combatte come un guerriero, perché la sua forza non sta nelle abilità fisiche, ma in quelle del denaro della malavita, essendo circondato da decine e decine di bodyguards.
Il film di Hensleigh ruota attorno al dolore di due padri: il sicario a cui viene ucciso il figlio durante un blitz anti-traffico d’armi, e il protagonista a cui viene ucciso la famiglia per la vendetta del sicario, una lotta tra due padri feriti che si ricollega a Mendes nel recente Era mio padre. L’opera non è tanto valida per le numerose scene d’azione, che comunque sono vincolate dagli stereotipi action sequences che coinvolge tutti i blockbuster americani, è molto più interessante invece soffermarsi sulla figura affascinante dell’(anti)eroe Frank Castle. In Kill Bill, Tarantino ha scelto di ellissare l’assassinio degli amici e del marito della Sposa, qui invece, Hensleigh mostra tutta la carneficina della famiglia di Castle. Mettendoci nei suoi panni, i sentimenti si fanno offuscati, perché davanti all’assassinio di tutta la tua famiglia, non sai nemmeno che cosa provare, dolore? Distruzione? È una cosa inesprimibile a parole, perché una volta caduto in una spirale decadente del genere, non si torna indietro, e non si è più l’uomo di prima, un trauma psicologico e spirituale che ti cambia da capo a coda. Il primo pensiero dopo tale massacro è la vendetta, ma non la vendetta fine a sé stessa, come la Sposa Uma Thurman, Castle si trasforma in un sadico macellaio. Annullata tutta l’umanità, annullata la parola di Dio, annullato il perdono, e chiusi dentro sé stessi, dentro la memoria di quella vita che non ti lasci indietro, percorrendo la strada della perdizione (Road to perdition è il titolo originale di Era mio padre) in un girone infernale dantesco dove la morte ti sospira nelle orecchie. The Punisher è un film dark non tanto per la fotografia spesso grigia notturna, ma per la mente nebbiosa del protagonista, lui dice che la sua non è vendetta, ma punizione, però egli non è un eroe della giustizia, non è Spiderman o DareDevil, è appunto un anti-eroe come il Sean Penn di Mystic River, accecato dalla voglia di riscatto, dalla voglia di vendetta da ottenere a tutti i costi, facendosi giustizia da soli.
E così, massacro dopo massacro, la vendetta è compiuta, ma non è abbastanza, l’elemento rotto non è ricomponibile come prima, i fantasmi del passato riecheggiano comunque, le memorie sono incancellabili. “Per vivere, devi avere delle belle memorie”, e così Castle trova la forza di andare avanti, ma come già detto, dopo un viaggio all’inferno non si torna indietro, e il Frank Castle, l’uomo Frank Castle, non esiste più. Ora è The Punisher.
Pierre Hombrebueno