Regia: Iain Softley
Sceneggiatura: Ehren Kruger
Fotografia: Daniel Mindel
Musiche: Ed Shearmur
Montaggio: Joe Hutshing
Anno: 2005 Nazione: Stati Uniti d’America Distribuzione: UIP
Durata: 104′ Data uscita in Italia: 09 settembre 2005 Genere: thriller-horror
Violet Devereaux Gena Rowlands
Luke Peter Sarsgaard
Jill Joy Bryant
Caroline Kate Hudson
Ben Devereaux John Hurt

Recensione n.1

New Orleans, Misissipi, Alabama: è questo il teatro di questo thriller preceduto da un discreto battage pubblicitario.
Non è esente da suggestioni il fatto che questo film sia uscito sull’onda, anzi sulle ali dell’uragano Katrina; coincidenza macabra e non voluta dato che l’esordio del film era previsto da parecchio tempo. Il buon vecchio sud yankee con i suoi miti e stereotipi viene qui proposto: paludi, magia (quella più autentica del termine), musica, neri, bianchi, razzismo, e le solite immancabili verande, sedie a dondolo (o no) che si muovono o fanno da proscenio a confidenze nella sensuale, lussureggiante e old style atmosfera del Mississipi, con un non so che di europeo e francese relativamente tipico (o dovremmo dire “era”?) dell’anima di queste zone.

Il thriller è un accettabile film di genere, con qualche colpo di scena ben assestato, secondo i dettami collaudati
di Hollywood.
Qui la fa da padrone la magia, vera o falsa che sia, che vede al centro una volitiva infermiera (Caroline), la quale da New Orleans si trasferisce in un piccolo centro dove deve accudire un anziano colpito da ictus. Cosa si cela in quella casa? Cos’è capitato all’anziano signore? Ci sono davvero segreti o sono solo suggestioni condite da qualche mistero non paranormale? Quale evento tremendo è capitato?
Il film si lascia ben vedere, ma la caratterizzazione del sud rispetto a qualche altro recente film è meno intensa e più banale.
La cosa che risulta un po’ grottesca è che questa magia (o suggestione), la quale è il motore della storia, qualche volta prenda la piega da “ricetta culinaria”, o da manuale per “apprendiste streghe”, ma forse era inevitabile dato che la drammaturgia del film richiede un atteggiamento di scoperta e di sfida da parte della giovane protagonista, che oltretutto non è originaria di quello stato, ma è del New Jersey.
E’ il sud delle contraddizioni, che qui sono meno marcate ed evidenti che in altri film, ma dove è sempre forte una radice bianca, dai costumi creoli, e conservatrice.
Fa un certo effetto vedere luoghi che, vere o finte che siano le location, oggi sono spazzate vie dalla furia distruttrice della natura, o meglio dall’incuria e dalla mancanza di rispetto dell’uomo per l’ambiente.
Sperando che New Orleans torni più bella di prima, c’è anche da chiedersi come mai sia stata sempre fuori dagli itinerari turistici degli italiani (o forse è un bene). C’è gente che ci va ogni anno e giura di non aver quasi mai incontrato connazionali.
Le tragiche vicende e questo film possono servire a riscoprire la gente del Mississipi, i suoi usi, costumi e tradizioni, magari a fare una rilettura cinematografica di questi luoghi che parta da “Via Col Vento” a “Mississipi Burning” fino ai giorni nostri, magari acquistando ad occhi chiusi i CD della musica scritta e suonata da quelle parti, eh si, perché New Orleans, cari signori, è una delle più grandi capitali della musica e del jazz, ma anche di leggende e racconti incredibili, dove non si sa quanto di vero o di falso ci sia, come questo film un po’ modestamente ci propone, perché, come dice Cecile, “…la magia, come ogni cosa, se ci credi è vera!”
Ah, vecchio sud….

Gino Pitaro newfilm@interfree.it

Recensione n.2

Una neo-diva che si rispetti non puo’ precludersi strade nuove. E cosi’ Kate Hudson, abbonata alla commedia romantica, prova incautamente a regalare brividi anziché sorrisi. Il salto avviene mediante il discontinuo Iain Softley (responsabile dell’interessante “Le ali dell’amore” e del brutto “K-Pax”) e con il sostegno di uno script di Ehren Kruger (già sceneggiatore della versione americana di “The Ring” e dell’imminente “I Fratelli Grimm”). Il risultato vaga nell’anonimato di una confezione accurata ma convenzionale, e si affida con poca fantasia ai topoi del genere: porte che sbattono, pavimenti scricchiolanti,soffitte polverose, bambole ingrugnite, registrazioni maligne e ombre improvvise. Per dare supporto alla paura, la si veste con gli abiti umidi e swinganti dellaLouisiana (una delle ultime opportunita’ di vedere New Orleans prima della tragedia “Katrina”) e il copione rispolvera l magia nera limitandosi a un cambio di consonante (riti “hoodoo” anziche’ “woodoo”). Ma il teatro dell’azione si sposta presto nella solita casa maledetta con fattaccio annesso, relegando il potenziale sgualcito del profondo Sud dell’America a mera cornice. Ad una prima parte dall’andamento piatto ed eccessivamente preparatorio, in cui le premesse si dilatano senza crescere, segue una resa dei conti che ribalta le carte in tavola, ammanta di nero la parola fine ma si fa apprezzare piu’ per le intenzioni che nella resa. E’ proprio la gratuita’ delle scelte di regia (i brutti flashback in puro stile videoclip in primis) a trasformare i possibili spaventi in sbadigli. La sceneggiatura procede alternando idee stimolanti (una superstizione che colpisce solo chi ci crede) a invadenti sottolineature (i continui riferimenti al padre della protagonista), cura gli sviluppi in modo da renderli plausibili ma sembra volersi sempre sincerare che lo spettatore abbia capito. Quanto al tentativo della protagonista di svincolarsi dalla commedia, Kate Hudson non fa scintille e si conforma all’anonimato della messa in scena. Meglio la vecchia guardia, rappresentata da John Hurt e Gena Rowlands, anche se immalinconisce vederli, pur nella finzione, cosi’ vecchi e malridotti.

Luca Baroncini (da www.spietati.it)