Non riesco a nascondere l’assoluto sbigottimento di fronte all’ultima fatica di Alexander Sokurov, tanto che uscito dal cinema non mi era sembrato neanche di aver assistito ad un film. Perplessita’ miste a rabbia, furono le prime cose che sono riuscito a identificare in un primo momento, quando durante la visione riscii ad essere persino piu’ severo. Effettivamente si tratta di un’opera assolutamente diversa, anzi oserei dire proprio “altra”, e questo, forse, dovrebbe far riflettere di piu’, se inizialmente non per il film stesso, quantomeno per una sua collocazione, per un giudizio personale realmente sincero. Che dire quindi se non che dietro ad un film del genere vi e’ la sintesi di un’idea di cinema fatta di rigore e di un’acuta riflessione storico/artistica. Sokurov da vita ad un progetto che parte da un’ assoluta novita’ formale (il piano sequenza piu’ lungo e complesso mai realizzato), forzando all’interno di essa una sorta di non narrazione, una drammaturgia ed uno spazio scenico che devono le proprie idee piu’ al teatro dell’assurdo, alla musica, all’arte visiva e architettonica, piuttosto che alle canoniche unita’ narrative aristoteliche, o allo strutturalismo narrativo che conosciamo noi oggi, fatto di plotpoints, di macguffin, di “storie”, contrapposto al soggetto di fondo di tutto il film, e cioe’ l’iconografia di *una* storia, e cioe’ quella dei rapporti tra Europa e Russia nell’ eta’ moderna. Un viatico sublime e difficilissimo a tratti, fortemente provocatorio dall’ altra nel mettere in scena sottilissime (a volte fin troppo) metafore figurali, linguistiche e cinegrammaticali che sfinirebbero anche il piu’ arguto degli intellettuali o che ubriacherebbero anche il piu’ pipparolo dei critici.

Mille e piu’ cose si potrebbero dire di questo fascinoso progetto. Di come Sokurov abbia voluto fermare con le immagini tutta un’epoca, creando una sorta di Arca di Noe’ (i riferimenti alle sacre scritture sono tutt’altro che casuali, e il film ne rivela la vera natura culturale) di tutto un mondo che non c’e’ piu’, di ideali estetici, morali, politici e religiosi che andavano protetti in un museo audiovisivo, sintetizzati da un quasi due ore di danze della macchina da presa. E si’, perche’ nel rigore di questo progetto vi e’ anche l’idea di rendere ancora piu’ attuale e vera questa esperienza, con la sequenzialita’ temporale e visiva di un’unica ripresa, di un solo occhio ed un solo spettatore che assistono a questo miracolo. Nel tutto, anche se nel mezzo il film sembra andare oltre ogni umana pazienza, spicca un finale che assolutamente rimarra’ per sempre nella storia del cinema, di una delle ricostruzioni storiche piu’ audaci e complesse mai architettate nella storia dell’umanita’: il concerto, i balli, i costumi, la discesa delle masse, i palazzi, i volti e la camera che si fa come una persona comune, che e’ tra la gente, tutti uguali di fronte a tanta bellezza. Metafore nelle metafore. In tutto questo, moltissime altre cose che si potrebbero dire (ma che mi sembra bene evitare), ritengo importante notare come un film del genere non sia assolutamente connotabile. Non e’ un modello per nessuna cinematografia, anzi per certi versi e’ la negazione del cinema stesso, per come lo intendiamo noi oggi. E’ per questo che non ritengo assolutamente giusto incensare un film del genere, ma semmai ritengo sia meglio ricordarlo con reverenza, con immenso fascino (nel tentativo di provare a capirlo a fondo), come esperienza diversa, unica, ma assoltamente da non ripetere. Non bisogna vergognarsi se di fronte ad un film del genere ci si possa sentire impressionati e colpiti da qualcosa di profondo, ma bisogna ammetterlo e considerarlo, anche se questo e’ lontano anni luce dalla propria sensibilita’ artistica e culturale.

Un’ultima nota: anche questo film e’ stato girato in HD24P (il formato della Sony). Devo assolutamente dire che in questo frangente, purtroppo, la differenza con quello che si sarebbe potuto fare con la pellicola si e’ vista parecchio. Le scene con poca luce sono venute a mio avviso molto brutte (ma e’ il limite visivo che ha il formato della Sony), con numerosi aberrazioni cromatiche e aliasing di compressione abbastanza vistoso, che devo dire nuoceva molto ad un film del genere. In certe scene a lume di candela addirittura si vedeva la scansione verticale e le righe della matrice dei ccd, un vero e proprio *bug*. Per quanto riguarda il look nelle scene con buona luce, devo dire che anche qui qualcosa non mi ha soddisfatto per niente, e questo posso dirlo anche a fronte di visionamenti che ho fatto anche a Venezia con proiezioni native digitali di materiale girato da Storaro. Purtroppo il formato Sony per lavorare su cassetta, adopera un codec Lossy, cioe’ un formato compresso, per di piu’ a 8/10 bit per canale, e questo, ahime’, ha dei risultati abbastanza evidenti, specialmente con poca luce (contorni spesso poco definiti, e rumore della grana molto artificiale). L’unico formato digitale che ad oggi mi ha realmente impressionato e’ quello della Thomson, che lavorando cablata, da un range dinamico realmente superiore, e questo si vede molto bene. Per quanto riguarda i piani sequenza del film, evidentemente gli stacchi ci sono (ed e’ per questo che si e’ usato un formato digitale), io di mio ne ho visti almeno 7, ma altri possono benissimo essere stati giuntati con morphing o Warping in fase di montaggio in maniera totalmente invisibile. Le riprese tra l’altro non sono state fatte tutte con la steadi, ma bensi’ in molte circostanze, visto che i pavimenti erano perfettamente lisci e levigati, si saranno usati dei ragnetti (cavalletti a 3 o piu’ ruote) perche’ nel film c’e’ un uso massiccio di zoom travelling, e quelli, sulla steadi, specialmente quelli spinti che ho visto nel film, sono assolutamente da escludere.

Barryz