Film ellittico, curioso, e talvolta decisamente strano, del regista australiano Rolf De Heer. È più facile dire cosa contiene piuttosto che di cosa si tratti realmente, perchè ci possono essere vari punti di vista a piacere dello spettatore.

Il film inizia con una donna di colore intrappolata in una gabbia di metallo nel deserto. Il suo colore è importante perché il film tratta i temi del razzismo e della colonizzazione in modo provocatorio e surreale. In tempi recenti, De Heer si è mosso verso l’esplorazione delle questioni aborigene, basandosi sul suo precedente lavoro sulla malattia mentale e fisica. Questo film segue il viaggio della Blackwoman  mentre fugge dalla sua gabbia. Le ambientazioni del film comprendono regioni desertiche senza tempo e senza confini, nonché aree post-industriali che ospitano fabbriche rumorose. Gli operai sono sorvegliati da guardie con maschera antigas e truppe d’assalto neo e simil fasciste.

A tratti, ci sentiamo come se fossimo in una sorta di deserto post-civiltà, post-speranza come The Road. Se questo susciti disperazione o speranza, dipende dalla tua lettura del film.

Come indicato, il film non ti dà molto su cui andare avanti. La maggior parte è senza dialoghi e l’unica lingua parlata è incomprensibile. Ciò significa che possiamo solo indovinare le motivazioni della nostra protagonista. Ad ogni modo la storia avvince lo spettatore. Cinema audace.

The Survival of Kindness è un’opera impegnativa, che allontanerà alcuni spettatori e potrebbe persino annoiarli. Per coloro che seguono il regista in questo delirante viaggio, c’è la sensazione che De Heer stia facendo un’affermazione importante e universale in relazione alla nostra civiltà incivile.
Voto 7

VC