Regia: Steven Spielberg
Interpreti: Tom Hanks, Catherine Zeta–Jones, Stanley Tucci, Chi Mc Bride, Diego Luna, Barry Henley, Kumar Pallana, Eddie Jones

Recensione n.1

Il film si apre con l’arrivo all’ aeroporto Kennedy di New York di Viktor Navorsky ( Tom Hanks), turista proveniente dall’ immaginaria Krakozia .Il destino si rivela da subito ben crudele con il buon Viktor, nel suo paese di origine si è infatti verificato un colpo di stato, e pertanto il suo passaporto non ha più valore, non può entrare negli Stati Uniti e non può ripartire. E’ un signor nessuno costretto a vivere in una terra di nessuno, il terminal di transito dei voli internazionali. Ma Navorsky, superati primi momenti di difficoltà in questa situazione kafkiana riuscirà a divenire un proprio beniamino all’interno dell’ aeroporto, sbarcando il lunario e facendo amicizia con diversi personaggi. Nonostante la situazione offra su un piatto d’argento l’ occasione una satira e ad una denuncia sulle falle del sistema burocratico e sulla condizione dell’ america post 11 settembre, Spielberg si tiene volutamente lontano da un’ indagine di questo tipo, soffermandosi piuttosto sulle paradossali e a tratti carnascialesche evoluzioni della situazione dell’ apolide Navorsky.
Film davvero ben curato, a tratti molto appassionante anche se non necessariamente originale.
The terminal risveglia il bambino che c’è in noi, è una sorta di fiaba che si rispecchia nell’ingenuità infinita di Viktor, capace di inseguire il suo sogno in capo al mondo e di realizzarlo con gli occhi di chi è ancora in grado di credere nell’ improbabile se non nell’ impossibile. Viktor è ancora capace di sognare, di stupirsi di fronte a tutto ciò che incontra nel terminal e che per lui rappresenta un mondo nuovo e sconosciuto: è la pura ingenuità e bontà contrapposta alla freddezza calcolatrice e volta unicamente al proprio utile del direttore dell’ aeroporto. Tutto quello che questo film racconta è la vita, che è la stessa di sempre anche se vissuta ” in scatola” all’interno dell’ aeroporto: c’è l’amore,il tradimento, la guerra che con le sue brutture riesce a penetrare anche nel microcosmo del terminal, ed il lieto fine ( anche se con una punta di amarezza) che tutti ci aspettiamo. Una bella fiaba dicevamo, capace non solo di far sorridere, ma di regalare attimi di vero e proprio divertimento che si alterna alla commozione in una girandola di emozioni. Tom Hanks straordinario istrione che, abituatosi alle acrobazie linguistiche dopo Ladykillers, ci prende gusto e sfodera una performance uno-contro-tutti alla Cast Away. Spielberg ispirato e poeta come non si vedeva da tempo, che lascia da parte gli effetti speciali per andare a suonare le corde dell’ immaginazione con un’ archetto più fine, con la narrazione trasognata e a tratti visionaria ( la costruzione della fontana x l’ amata dentro al terminal 67 ne è l’esempio ). Grande Tucci, che sembra aver ritrovato lo smalto dei tempi migliori. Zeta-Jones piuttosto anonima e scolastica.
Da vedere. Voto: 7

Francesco Priano

Recensione n.2

Se non vi spaventa la faccia imbolsita di Tom Hanks, se non vi spaventa la fiera dei luoghi comuni, se non vi spaventano le 2 ore e passa del film, andate con cuore aperto a vedere questa ultima fatica di Spielberg. Qualche critico particolarmente puntiglioso trovera’ il film pieno di imperfezioni e di trovate spocchiosamente superficiali ai fini stessi della trama, eppure c’e’ qualcosa di fondo che mi ha fatto amare questa pellicola. Saranno state le espressioni e la gestualita’ di Tom Hanks, il suo camminare dinoccolato, quell’atmosfera da Natale dei Grandi Magazzini, o la splendida presenza di Catherine Zeta Jones, mai cosi’ “reale” come in questo film, che mi ha fatto tornare in mente i vecchi film di Frank Capra, pervasi da uno stato di sublimazione estatica che fa perdonare tutte le sbavature. Lo ammetto: ogni tanto mi piace vedere dei film pieni di buoni sentimenti, e non devo necessariamente trovarmi di fronte ad una trama elaborata o dei sottotesti da cinefilo. In effetti le sottotrame sono quanto di piu’ banale si possa pensare, le battute o le gag sono esili ma arrivano con semplicita’, complici forse della (com)passione mista a tenerezza che il nostro protagonista fa scaturire. Non e’ il film migliore di Spielberg, pero’ ammicca e attinge a piene mani da quelle vecchie commedie piene di buone sentimenti, senza pero’ lasciarsi prendere troppo la mano e lasciando un finale non totalmente “happy” (all’americana, per intenderci), dirigendo il tutto con solita mano sicura. Alcuni momenti rimangono indimenticabili. Molto interessante la parte Stanley Tucci, con una caratterizzazione davvero ottima. Si aprano le contestazioni.
Voto: 8

The Wolf

Recensione n.3

E’ possibile vivere in un non-luogo? Beh questo è quello che succede a Victor Navorski (Tom Hanks), abitante di un‘immaginaria ex repubblica sovietica di nome Cracosia, che improvvisamente si ritrova prigioniero nell’aeroporto JFK di New york. Durante il breve tempo del volo verso la “grande mela”, infatti, all’interno del suo paese si verifica un colpo di stato per cui lui, una volta atterratto si ritrova ad essere cittadino di nessun paese; i suoi documenti, così come i suoi soldi, non hanno più alcun valore e lui, per le autorità americane, diventa un soggetto “semplicemente inaccettabile”, non può ripartire ma nemmeno lasciare l’aeroporto ed entrare in territorio americano.
Travolto in questo vortice Victor si ritrova straniero in un paese che gli si dimostra inzialmente ostile, popolato di burocrati incapaci di farsi capire e di comunicare con lui ed il cui unico interesse è cercare di risolvere alla svelta la situazione in modo che la cosa non finisca col creare dei problemi. E’ così’ che Victor resta bloccato in questo limbo, libero di muoversi solo all’interno dell’area di transito internazionale, in attesa di poter finalmente uscire da quella porta che segna il confine tra lui, New York e ciò che lo ha portato fino a lì.
All’interno di uno di quelli che Augè ha definito come non-luoghi, frutti della società moderna, pensati solo come posto di passaggio ed in cui l’unica attività possibile è comprare, Victor, con una grande delicatezza, sensibilità e gentilezza, riuscirà a crearsi un proprio mondo in cui troverà amicizia ed amore.
“The terminal” si basa sulla storia di un uomo, un rifugiato di origine iraniana di nome Merhan Karimi Nasseri che realmente vive da anni in un aeroporto, nella fattispecie quello parigino di Charles de Gaulle.
Il film sicuramente non può essere annoverato tra i migliori lavori di Spielberg ma ha il merito di afforntare in modo divertente e leggero l’importante ed attuale tema del rapporto con l’altro, con lo straniero, il tutto collocato in un contesto come quello statunitense che, più di quanto accade in altri paesi, convive giornalmente con il sospetto, la diffidenza e la paura nei confronti di ciò e chi non conosce.

Silvia Benassi
VOTO: 7