Scheda film
Titolo originale: The visit

Regia e Sceneggiatura: Michael Madsen
Fotografia: Heikki Färm
Montaggio: Nathan Nugent, Stefan Sundlöf
Musiche: Karsten Fundal
Danimarca/Austria/Irlanda/Finlandia/Norvegia – 2015 – Documentario – Durata: 94’
Uscita: 2 settembre 2015
Distribuzione: I Wonder Pictures

Sale: 7

Dimmi chi sei e ti dirò chi sono

Secondo una nomenclatura ufficiale, un’opera come The Visit andrebbe sbrigativamente catalogata alla voce documentario. Sulla carta una simile classificazione di default può in parte essere accettata, almeno sino a quando la visione dell’ultima fatica dietro la macchina da presa di Michael Madsen, presentata con successo alle passate edizioni del Sundance e del Biografilm Festival per poi approdare nelle sale nostrane con I Wonder Pictures lo scorso 2 settembre, sia chiamata a smentire categoricamente quanto affermato in precedenza. I novanta minuti circa di timeline sui quali Madsen ha steso immagini, suoni e parole, ma soprattutto il modo in cui lo ha fatto, servono al pubblico di turno per comprendere quanto poco esaustiva ed esplicativa possa essere tale definizione.
Quello scritto e diretto dal regista danese, autore di una perla pluri-premiata come Into Eternity (2010), è un perfetto esempio di mistificazione della realtà e di ibridazione. Con The Visit, Madsen firma, infatti, un fanta-documentario nella quale racconta una finta storia vera che testimonia un evento mai accaduto, ossia l’incontro degli esseri umani con delle creature extra-terrestri e le possibili conseguenze di una loro invasione, non necessariamente pacifica. Sinossi alla mano è dunque più facile comprendere cosa scorre davanti ai nostri occhi, vale a dire l’esatta natura del progetto e delle sue fondamenta. Tecnicamente, quindi, bisognerebbe parlare di mockumentary, ma il regista riesce a spingersi ancora oltre il (sotto)genere di riferimento, come prima di lui Herzog e Steiner con L’ignoto spazio profondo e Above and Below, attraverso un vero e proprio atto di trasfigurazione della realtà in qualcosa di immaginifico, ossia un viaggio dove verità e costruzione si confondono azzerando di fatto la linea di confine che normalmente separa il vero dall’artificio. Ed è lo stesso autore ad aver chiarito ulteriormente la propria idea di “cinema del reale” e l’approccio alla materia che segue durante il processo creativo affermando: «Mi considero in un dialogo costante con ciò che il genere documentario è e ciò che può essere. Non credo che la realtà costituisca un’entità fissa, che può essere documentata oggettivamente. Al contrario, sospetto che la realtà dipenda e vari a seconda della natura della sua interpretazione. In altre parole, sono interessato alle potenzialità di come la realtà può essere – e di come è – interpretata».
Per sostenere i suddetti principi, Madsen passa attraverso la deformazione della realtà stessa e uno stile che si fa via via sempre più onirico e astratto. Ogni singola inquadratura va oltre la materialità di una prima lettura oculare, stratificandosi ed evocando suggestioni che alternano lirismo e sperimentazione (la mente torna a Behemoth e Vivan las antipodas), ma anche tutta una serie di quadri, situazioni, concetti, atmosfere e figure, le cui radici scavano in profondità nell’immaginario cinematografico e letterario di fantascienza, quello alto e dalle implicazioni socio-politiche. Di questo linguaggio e di questo immaginario si serve per portare sul grande schermo un tour fisico ed emozionale in una dimensione terrestre sospesa, dove le coordinate spazio-cronometriche sono soggette ad alternazioni in termini di prospettiva e scorrimento temporale. Il Pianeta, e con esso ciò che lo occupa e lo vive, viene catturato dalla macchina da presa e restituito sullo schermo come una sorta di limbo tangibile, dove animato e inanimato è decelerato, cristallizzato e dilatato. In questo modo, tutte le implicazioni dell’evento si spandono in un orizzonte complesso in cui immagini e suoni di tutti i giorni diventano bizzarri e straordinari se visti attraverso gli occhi di una forma di vita che esplora il nostro pianeta per la prima volta. Il risultato è una soggettiva aliena della quale non avremo mai lo svelamento, con il controcampo impossibile di colui che osserva la specie umana messa in vetrina al fine di essere osservata, compresa e infine giudicata. Insomma, siamo come posizionati sotto la lente di un microscopio, oppure osservati a distanza come delle cavie da laboratorio. Ma se invece degli alieni fossimo noi a guardarci per la prima volta dentro e allo specchio, sinceramente e senza schemi mentali? E se quel controcampo impossibile fosse il nostro riflesso non alterato o la nostra coscienza messa a nudo? Forse guardandoci da una distanza siderale riusciremo a vedere meglio ciò che siamo diventati, magari immaginando come fanno i protagonisti (dal Direttore dell’Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari dello spazio extra-atmosferico agli esperti della NASA e del SETI, dagli esponenti dell’ISU a consulenti dell’esercito) di spiegare i nostri errori a un’intelligenza aliena, così da denunciarli e per tentare di non ripeterli. Ma anche la possibilità di interrogarrci e riflettere attentamente su questioni scientifiche, spirituali, esistenziali, politiche, sociali, culturali e intelletuali. Di conseguenza, The Visit si trasforma in una sorta di seduta terapeutica per l’intera razza umana, cominciando proprio dagli spettatori che avranno modo e la fortuna di vedere il film.

RARO perché… più che un film è una riflessione…

Voto: 8 e ½

Francesco Del Grosso