Scheda film

Regia: James Watkins
Soggetto: dal romanzo di Susan Hill
Sceneggiatura: Jane Goldman
Montaggio: Jon Harris
Fotografia: Tim Maurice-Jones
Scenografia: Kave Quinn
Costumi: Kate Madden
Musiche: Marco Beltrami
G.B./Canada/Svezia, 2012 – Horror – Durata: 95′
Cast: Daniel Radcliffe, Ciaran Hinds, Janet McTeer, Liz White, Misha Handley, Roger Allam, Shaun Dooley,
Uscita: 2 marzo 2012
Distribuzione: Videa-CDE

 Daniel Radcliffe in un horror tetro e inquietante

Daniel Radcliffe interpreta Arthur Kipps, un giovane avvocato al quale viene ordinato di viaggiare in una remota zona di Blighty per occuparsi delle carte di un cliente deceduto. Kipps presto scopre dei segreti “fantasmagorici” sulla casa e sul villaggio locale.
La pellicola, basata sull’omonimo romanzo di Susan Hill, è diretta da James Watkins (Eden Lake) e sceneggiata da Jane Goldman (Stardust, Kick-Ass) ed è prodotta dalla storica casa produttrice di pellicole horror Hammer Films.
Ambientata nella tetra brughiera inglese, in una strada isolata, la storia ha come protagonista Arthur Kipps, un promettente e giovane procuratore legale, vedovo e padre di un bambino, che viene mandato al nord per sistemare le proprietà di una sua cliente, la signora Alice Drablow: una grandissima casa in stile vittoriano completamente desolata dove sono avvenute delle morti efferate.
La routine che ha previsto è presto sostituita da una serie di eventi e segreti molto più complicati e terrificanti di qualsiasi incubo: strane presenze che si aggirano nella vecchia dimora, bambini che muoiono in situazioni sempre più inquietanti e una disperazione e una diffidenza che sembrano aver paralizzato del tutto gli abitanti del villaggio.
Arthur, determinato ad andare a fondo alla questione, farà di tutto per capire cosa si nasconde dietro alle superstizioni che popolano il paese, mettendo in gioco le sue stesse paure e i suoi stessi tormenti.
Daniel Radcliffe torna sul grande schermo dopo l’acclamatissima saga di Harry Potter che lo ha reso famoso in tutto il mondo, e forse non ha compiuto una scelta troppo felice proponendosi in The Woman in black. Il film, una storia decisamente horror, che dovrebbe spaventare o almeno regalare un po’ di tensione al pubblico pagante, racconta la solita vecchia storia di fantasmi, porte cigolanti, passi inaspettati, ma lo fa senza colpi di scena, percorrendo strade fin troppo battute, senza trasmettere la minima emozione.
Radcliffe non convince nei panni del padre determinato a scoprire la verità e a difendere suo figlio, e appare poco disinvolto fuori dai panni del giovane maghetto.
Complice anche una fotografia eccessivamente buia che non evidenzia i movimenti e le ombre che dovrebbero creare paura nel pubblico, la pellicola annoia, si dilunga e, soprattutto, non spaventa.
Il finale completa un quadro piuttosto disastroso dove niente viene realmente risolto ma comunque si cerca un happy ending, eccessivamente forzato.

Voto *½

Giada Valente

 #IMG#L’avvocato Arthur Kipps…

L’avvocato Arthur Kipps, rimasto vedovo dopo che la moglie è morta di parto dando alla luce il piccolo Joseph, viene inviato nel villaggio di Crythin Gifford per sbrigare alcuni affari legali. Il suo compito è quello di occuparsi del lascito testamentario di Mrs. Drablow, defunta proprietaria di Eel Marsh House, una villa che sorge in mezzo alle paludi. Una volta giunto sul posto, Kipps scoprirà che gli abitanti del villaggio nascondono oscuri segreti, legati alle sinistre apparizioni di una donna vestita di nero.
Seconda prova di James Watkins dopo il pregevole Eden Lake, The Woman in Black è il primo adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo di Susan Hill, che già ebbe l’onore di una trasposizione televisiva, di due versioni radiofoniche realizzate dalla BBC, e persino di una riduzione teatrale, che va in scena da oltre vent’anni sui palcoscenici londinesi. E’ anche la prima produzione che possa vantare un discreto budget della Hammer Film, risorta a nuova vita dopo i fasti degli anni’60, che finora si era barcamenata con opere di altalenante riuscita, tra cui si segnala l’ottimo Wake Wood di David Keating. L’incontro tra la nuova Hammer e “The Woman in Black”, era però in qualche modo già scritto, considerando che l’autore dell’adattamento televisivo del 1989 fu quel Nigel Kneale che fece la fortuna della vecchia Hammer con la serie di Quatermass.
Il libro è una ghost-story tradizionale, un consapevole omaggio al genere con qualche citazione dalle opere di M.R.James, rettore del King’s College e maestro della letteratura fantastica, e dal più illustre Henry James, e anche la versione cinematografica non si discosta da questa impostazione. Del resto, sul versante cinematografico strettamente “hammeriano”, il gotico vittoriano era il prediletto campo da gioco dei classici di Terence Fisher, dei suoi Dracula, dei suoi Frankenstein e dei suoi Sherlock Holmes. Non sorprende dunque che il viaggio del sofferente Arthur Kipps rammenti quello di Jonathan Harker verso il castello di Dracula, né che gli abitanti di Crythin Gifford non vedano l’ora di sbarazzarsi di lui, proprio come accadeva ad Harker a Borgo Pass. La luttuosa e fatiscente Eel Marsh House, completamente isolata tra le paludi al levarsi dell’alta marea, non ha nulla da invidiare ad altre celebri case infestate, quali la Hill House di Shirley Jackson o la Casa Belasco di Richard Matheson. Al suo interno vagolano fantasmatiche apparizioni di dame in gramaglie, pallidi infanti che paiono usciti da “Cuori strappati” (sempre M.R.James), polverose orchestrine di automi che scrutano l’intruso con occhi vitrei. Sulla casa e su Crythin Gifford aleggia una maledizione, legata alle fugaci manifestazioni della donna in nero. Repentina come la Mrs. Jessel di “Giro di Vite”, a ogni apparizione la misteriosa figura carpisce la vita di un bambino, e toccherà al povero Kipps sbrogliare il bandolo della matassa.
Approcciarsi a un genere così codificato costringe James Watkins a una regia di repertorio, con qualche citazione dal J-Horror per modernizzare un po’ le cose. Con un intreccio che aspira allo statuto di classico (ma scritto nel 1982) e una sceneggiatura convenzionale, è arduo costruire una suspense degna di questo nome, e così il regista ripropone le apparizioni liminari tanto care all’horror nipponico, in cui il “revenant” s’intravede fugacemente riflesso in uno specchio, o ai margini estremi dell’inquadratura. La scenografa Kave Quinn si richiama agli ambienti sovraccarichi immaginati da Bernard Robinson, storico scenografo della Hammer, ai Bray Studios o nella famosa villa di Oakley Court. Gli interni di Eel Marsh House sono l’incarnazione esemplare dell’horror vacui dei vittoriani: bibelot impolverati, ritratti funerei e mobilia da brocanteur, essenziali, con l’ausilio della fotografia di Tim Maurice-Jones, nel costruire un’atmosfera lugubre. Anche la palette cromatica, fatta di nero, viola, cremisi e verde marcio, avrebbe fatto piangere a Poe lacrime di commozione. Purtroppo, in tanta reverenziale adesione ai codici del genere, si tralascia quello che rende una ghost story immortale. Quello che faceva la grandezza di capolavori quali Suspense (1961) di Jack Clayton o Gli Invasati (1963) di Robert Wise, ovvero l’ambiguità dell’assunto, è infatti del tutto latitante, a detrimento dell’incisività dell’opera.
Rispetto al romanzo, la sceneggiatrice Jane Goldman decide di rendere Kipps vedovo prima del tempo, per motivarne maggiormente le azioni. Egli non si risolve ad abbandonare Crythin Gifford perché è in apprensione per le sorti del figlio, ma anche perché, in linea con le ossessioni spiritualistiche vittoriane, confida di trovare prove certe dell’esistenza della vita oltre la morte, nella speranza di ricongiungersi un giorno alla moglie scomparsa. Al contempo si eleva il body count delle vittime, ma stavolta per tener desta l’attenzione dello spettatore, abituato a ritmi cinematografici ben più convulsi di quelli della ghost story.
Daniel Radcliffe sarà ormai troppo stagionato per Harry Potter, ma non lo è abbastanza per essere credibile nel ruolo del padre in ambasce. Per fortuna è supportato da un manipolo di ottimi caratteristi, tra cui svetta l’irlandese Ciaran Hinds (La Talpa, The Debt), nel ruolo dello scettico Mr. Daily. Un buon risultato che piacerà agli estimatori del genere, con l’avvertenza che da un pastiche letterario non può che nascerne uno cinematografico.

Voto: * * *¼

Nicola Picchi

 Harry ti presento Daniel

La serie cinematografica di Harry Potter, insieme a quella letteraria, è ormai terminata, perciò il non più bambino Daniel Radcliffe deve ora trovarsi o un lavoro o una dimora. Purtroppo per lui – ma non per noi! – una gloriosa casa di produzione gli ha trovato una specie di residenza in una casa che infestata è dire poco. Così in epoca vittoriana l’avvocato Arthur Kipps da lui interpretato, vedovo dopo che la moglie è morta di parto per dare alla luce il loro figlioletto e quindi per il dolore non troppo scettico nei confronti dell’esistenza dei fantasmi, viene inviato dallo studio per cui lavora nel piccolo villaggio di Crythin Gifford al fine di risolvere alcune questioni legali inerenti l’ultima proprietaria della sontuosa Eal Marsh House, collocata su un’isoletta il cui accesso è regolato dalle maree. Appena giunto sul luogo, dovrà fare i conti con la comparsa di una misteriosa “dama in nero”, le cui apparizioni sembrano legate a sinistri eventi del passato che cominciano nuovamente a verificarsi nel paese…
Prodotto dalla celeberrima Hammer, factory britannica che legò il suo nome agli horror anni sessanta/settanta con protagonisti Christopher Lee e Peter Cushing (e che a loro volta rifacevano i classici Universal), già riaffacciatasi sul mercato con l’ancora inedito da noi The resident di Antti Jokinen e col deludente remake di Lasciami entrare diretto da Matt Reeves, il film è tratto dall’omonimo romanzo scritto da Susan Hill ben sei lustri prima e già oggetto di adattamenti radiofonici e televisivi. Il regista James Watkins, già autore dell’inedito da noi Eden Lake, si cimenta con una classica ghost-story, ammantandola dei gotici chiaroscuri della fotografia di Tim Maurice-Jones, avvalendosi però anche di stilemi ed accorgimenti contemporanei, quali la fugace apparizione di volti nel buio mutuata dai film dell’orrore orientali o l’uso esplosivo di musiche improvvisamente ad alto volume – che assicurano non pochi salti sulla poltrona! – di cui fu maestro il nostro Dario Argento. Pur riuscendo nell’intento di tenere alta la tensione e di spaventare, quel che manca a questo The woman in black è però quell’aura ambigua di mistero propria di capolavori della letteratura (e del cinema) come, tanto per citarne uno, “Il giro di vite” di Henry James (e la relativa trasposizione Suspense di Jack Clayton), mentre qui l’unico accenno restano le numerose croci e le tre scimmiette, mostrate più volte nella casa, che però restano fini a se stesse. I fatti strani che accadono nella storia sono semplicemente tautologici ed autoreferenziali e non sembrano nascondere alcun grosso segreto, se non l’apparizione della sinistra signora in nero del titolo, la cui sete di vendetta viene presto spiegata. E se Radcliffe dà una prova tutto sommato sufficiente, malgrado il suo casting non sia tra i più azzeccati che si ricordino, il pre-finale risulta piuttosto affrettato, soprattutto poiché non supportato da chissà quale spiegazione rivelatrice, mentre il finalissimo – al confronto – appare quasi un colpo di genio, spiazzante ed inaspettato, mandando a casa lo spettatore turbato, ma contento.

Voto: * * *

Paolo Dallimonti