Scheda film

Regia: Darren Aronofsky
Soggetto e Sceneggiatura: Robert Siegel
Fotografia: Maryse Alberti
Montaggio: Andrew Weisblum
Scenografie: Tim Grimes
Costumi: Amy Westcott
Musiche: Clint Mansell
Suono: Eric Strausser
USA/Francia, 2008 – Drammatico – Durata: 109‘
Cast: Mickey Rourke, Marisa Tomei, Evan Rache Wood, Mark Margolis, Todd Barry, Wass Stevens, Judah Friedlander
Uscita: 6 marzo 2009
Distribuzione: Lucky Red

 Randy “the Ram” Robinson…

Randy “the Ram” Robinson è stato un grande del wrestler negli anni ottanta. Adesso vive del ricordo della sua vecchia gloria combattendo di tanto in tanto, e vendendo video dei sui passati incontri. Ma quando viene colpito da un infarto dopo un incontro, e i medici gli sconsigliano di continuare a combattere, cercherà di rimettere insieme la sua vita e trovare un motivo per viverla che non sia il suo passato di lottatore.
Mickey Rourke ha avuto un passato da attore glam negli anni ottanta, che in parte sberleffa mostrando con orgoglio la faccia, i cui famosi e fascinosi connotati sono stati cambiati dal suo altro passato di pugile. Aronofsky ha alle spalle un pò di bei film, un capolavoro e un fiasco che gli valse l’ilarità dei critici a Venezia. Insieme raccontano del sogno americano, che spesso diviene un incubo. Se l’America di Rocky era per i vincenti, questa rappresentata in The Wrestler è per chi non solo si svegla e scopre che il sogno americano è, per l’appunto solo un sogno, ma non ha nessun desiderio di continuare ad illudersi di avere un motivo per sognare.
L’uso della camera a mano per tutta la prima parte del film, ci comunica subito che siamo di fronte all’intenzione di raccontare una persona, e non la metafisica visionaria di un racconto fine a sè stesso. Il volto di Rourke, celato all’inizio e svelato per gradi, racconta invece una volontà di esistere, oltre che sfuggire al concetto di apparenza. Privato della possibilità di continuare a lottare, il suo Randy è straordinariamente tenace nella ricerca di un ruolo che non sia il reiterarsi di un passato. Cerca un lavoro, che si fa piacere per forza e in cui ricrea almeno l’illusione di un pubblico. Cerca poi una compagna nella disillusa spogliarellista, che un poco lo ama, e un altro po’ lo sfugge per paura. Cerca infine la possibilità di esser ricordato, tentando la ricostruzione di un rapporto inesistente, con una figlia che non è mai stata sua. E mentre vive la speranza di una vita possibile al di fuori dell’illusione del sogno, si scopre assai più ferito dalla vita stessa che dal ring.
L’ambiente è quello triste degli incontri semiprofessionistici, la gente è dura, disillusa ma continua a lottare. E il sangue che scorre dalla ferite inferte sul ring è di quello autentico, potrebbe esser stato spillato fuori dalla vita stessa, che non è stata clemente con nessuno degli attori di questo dramma.
L’America della guerra immotivata in Iraq si sveglia una mattina e scopre che non si può continuare a lottare, usando magari come arma le protesi cui ci ha costretto la guerra stessa. Non si può semplicemente perchè siamo umani. E se qualcuno ha raccontato al mondo che gli americani sono dei cyborg che “spiezzano in due” l’avversario, è solo perchè allora era bello pensare di potersela cavare semplicemente facendo paura ai cattivi.
Il desiderio di insinuare una visionarietà fa capolino di tanto in tanto nei dialoghi, il casuale e incongruente riferimento alla passione di Cristo, citata da una Maddalena che peccatrice forse lo è stata, ma sta cercando seriamente di redimersi, spinge lo spettatore a chiedersi su quale altare sarà alla fine immolato il protagonista di questo dramma del ricordo.
Ed è appunto su questa domanda inevasa che lo spettatore si intrattiene oziosamente nei pochi momenti in cui ci sembra che Randy possa farcela. Ma se da un lato sappiamo che non è possibile una vita al di fuori dei sogni, quello che ci confermerà la visione di questo film è che la realtà per quanto dura, è comunque preferibile alle illusioni di passati splendori e di impossibili resurrezioni.
Rourke è semplicemente perfetto, un lottatore nato, in parte attore del dramma e in parte sè stesso.
Ed è con compiaciuta passione che vediamo Aronofsky tener dietro al suo protagonista, segno e simbolo dell’America che vuole cadere in battaglia, e non accetta il fatto che il suo passato splendore possa esser superato dalle miserie attuali.

Voto: * * * *

Anna Maria Pelella

 #IMG#Oppresso dagli antidolorifici…

Oppresso dagli antidolorifici, dai debiti, dalla sordità e dagli acciacchi regalati da vent’anni di ring, questo è Randy the Ram (l’Ariete), wrestler invecchiato. Passa ormai la giornata tra lampade abbronzanti, acquisto di farmaci dopanti, allenamenti e qualche lavoretto per raggranellare un po’ di spiccioli. Finché un giorno, dopo un incontro più spericolato del solito, la vita gli manda un grosso stop sotto forma d’infarto. I medici gli consigliano di fermarsi, ma fuori da quel quadrato è come un alieno appena sbarcato da un’astronave. Il ring, come un vampiro, gli ha succhiato il sangue – e quanto ne ha sparso su quel tappeto, a volte tirandolo fuori dalle sue vene di proposito, per fare spettacolo, per eccitare quel pubblico voglioso di emozioni – al punto da farlo sentire vivo solo lì sopra, osannato ed incitato dalle folle. Gli è persino difficile portare avanti un vero lavoro, quasi un’onta per lui – in questo senso è ottima la trovata, quando fa il debutto nel nuovo impiego al supermercato, di mostrarlo come se stesse andando in scena acclamato dai suoi fan – tanto che arriva ad auto-lesionarsi, frustrato ed inferocito, pur di andarsene.
Riscopre anche il rapporto con la figlia (Evan Rachel Wood in versione mora), che inizialmente lo respinge chiedendogli dove fosse stato fino ad allora, ma Randy è uno tosto e pian piano la riconquista. Però è pure uno abituato a farsi chiamare ed acclamare, così si scorda il compleanno della ragazza, vanificando con un soffio quel po’ che faticosamente era riuscito a ricostruire.
Tenta pure una relazione con la spogliarellista Cassidy (Marisa Tomei che, dopo Onora il padre e la madre, continua a sfoggiare il suo invidiabile fisico da splendida ultra-quarantenne), un’altra derelitta con figlio a carico, che non vuole mischiare lavoro con vita privata, ma per la quale non sarà facile rinunciare a Randy, inseguendolo fino ad un passo dal ring.
E così, ennesima incarnazione del sogno americano infranto, lo sfatto eroe, con tanto di pancia debordante, scende in pista per un ultimo incontro, probabilmente fatale, sul quale Aronofsky chiude, con l’immagine di un sovra-palco vuoto, senza la risalita dell’artista, dopo un volo d’angelo.
Però Randy è anche la metafora di Mickey Rourke, artista al tramonto fino a poco tempo fa, rigenerato e riabilitato da questo film che gli ha riaperto la strada al successo. Un film piccolo, semplice, onesto, girato senza particolari movimenti di macchina, più spesso con la camera a mano, che rialza anche le quotazioni di Aronofsky, in ribasso dopo il controverso L’albero della vita.
Per concludere la splendida voce di Francesco Pannofino, che doppia Rourke nella versione italiana, quadra il cerchio di un’opera quasi perfetta.

Voto: * * * *

Paolo Dallimonti

 Randy Robinson detto “the Ram”…

Randy Robinson detto “the Ram” (trad. l’ariete) è una vecchia gloria del wrestling che ormai è costretta a esibirsi in palestre di pessimo livello. Al tempo stesso vive in un camper e lavora presso un centro commerciale cercando di ricrearsi una vita lontano dal ring ovvero l’unico luogo dove si riesce ancora a sentire davvero importante.
Nel 2008 il film di Aronofsky colpì allo stomaco il pubblico delle sale, e anche la critica cinematografica, esattamente come il “Ram Jam”, cioè il colpo terminale, di Randy Robinson. A dare il viso, i lividi, l’anima e un corpo visibilmete martoriato a questo guerriero dal passo sempre più lento e dolorante un Mickey Rourke che si è sin troppo immedesimato nelle vicissitudini di un vecchio campione. Un campione che altri non è che un “one trick pony”, come cita lo splendido single “The Wrestler” appositamente creato per la pellicola da Springsteen, ovvero un’attrazione capace di esibirsi facendo esclusivamente un numero, l’unico che conosce, l’unico possibile che nel caso di Ram Robinson, ispirato liberamente alla figura di Roderick “Roddy” Toombs, è lanciarsi sul ring simulando ormai da molti, anzi troppi anni centinaia di incontri. Poco importa se alla fine il prezzo da pagare è l’aver trasformato il proprio corpo in una farmacia ambulante oppure se ancora peggio il prezzo sia la propria vita. A contorno dell’esistenza alla deriva di questo vecchio wrestler un Jersey livido e invernale fatto di palestre, camper, centri commerciali e topless bar; luoghi popolati da altri personaggi altrettanto alla deriva come Ram uno su tutti Cassidy, interpretata da una Marisa Tomei perfettamente calata nel ruolo della loser esattamente come Randy, ovvero una lap dancer non più giovanissima e con un figlio a carico di nove anni. Il risultato finale, per un film che ha fruttato alla produzione premi di critica e pubblico, è una pellicola dalle tinte livide che rende vivo il dramma di una nazione anche lei alla deriva, non pronta ad accettare chi è sconfitto, chi non ce la può più fare perché risucchiato da un sogno che ormai è diventato un incubo, poco importa se stiamo parlando di un “one trick pony” uno che ha una sola freccia nel proprio arco, una sola da scoccare con il rischio di frantumarla in mille pezzi.

Voto: * * *½

Ciro Andreotti