Scheda film
Regia: Abderrahmane Sissako
Sceneggiatura: Abderrahmane Sissako e Kessen Tall
Fotografia: Sofiane El Fani
Montaggio: Nadia Ben Rachid
Scenografie: Sébastien Birchler
Costumi: Ami Sow
Musiche: Amine Bouhafa
Suono: Philippe Welsh, Roman Dymny e Thierry Delors
Francia/Mauritania, 2014 – Drammatico – Durata: 97′
Cast: Ibrahim Ahmed (aka Pino), Toulou Kiki, Abel Jafri, Fatoumata Diawara, Hichem Yacoubi, Kettly Noël, Mehdi AG Mohamed
Uscita: 12 febbraio 2015
Distribuzione: AcademyTwo
Sale: 28
Di Mali in peggio
A pochi chilometri da Timbuktu, in Mali, nell’Africa sahariana, si consuma il dramma di terre soggette al dominio dei fondamentalisti islamici che praticano la jihad e che hanno preso il potere, governando col terrore. La tragedia in atto si consuma ed evidenzia attraverso la principale vicenda di Kidane, che vive tra le dune di sabbia insieme alla moglie Satima, la piccola figlia Toya ed il giovanissimo guardiano dei buoi Issan. L’idillio famigliare si spezza quando Kidane durante una colluttazione spara accidentalmente al pescatore Amadou, che gli aveva ucciso la mucca Gps, colpendolo a morte. Mentre sullo sfondo scorrono le storie di gente punita per una partita di calcio o per aver cantato e suonato o comunque per non rispettare stupide e pretestuose leggi, lo stesso Kidane dovrà affronta la corte e sottoporsi al tremendo giudizio imposto dalle nuove norme…
Abderrahmane Sissako, regista originario della Mauritania (dove è stato costretto per regioni di sicurezza a girare la pellicola), nato in quel di Kiffa e ormai di stanza in Mali, al suo quarto lungometraggio di finzione sceglie un luogo simbolico, quella Timbuktu un tempo luogo di tolleranza e scambi, ma poi occupata nel 2012 per circa un anno dai jihadisti che la sconvolsero, tenendo in scacco l’intera popolazione locale e prendendo come ostaggi diversi occidentali. E simbolico diventa ogni elemento del film: dalla donna apparentemente folle, che gira per le strade fermando le auto degli occupanti con le sole mani alzate, al nome della mucca assassinata ingiustamente, Gps, fino alla storia del tranquillo Kidane, che vede minacciata la sua stessa esistenza mentre cerca giustizia, trasformandola purtroppo in vendetta in una sequenza girata in maniera perfetta, aprendosi con dei primi piani per concludersi in un prolungato campo lungo; dal rapper jihadista che ha subito il lavaggio del cervello ed ancora tentenna alla musica proibita che vede trasformarsi il melodioso suono di una suadente voce femminile in quello stridente delle frustate e delle conseguenti urla fino alla scena più bella della pellicola, suo nucleo centrale: quella poetica partita di calcio giocata senza pallone, in barba alle leggi che ne vieterebbero appunto l’uso.
Basato su una mescolanza di dialetti locali, che richiederà uno sforzo non indifferente ai curatori della versione italiana, Timbuktu, Premio della Giuria ecumenica al Festival di Cannes 2014 e nomination all’Oscar 2015 per il miglior film straniero, denuncia una situazione assurda ed insostenibile, ma lo fa con le potenti armi della poesia e dell’ironia: i temibili jihadisti sono spesso messi alla berlina, evidenziando i loro tic e le loro debolezze, al punto che dovrebbero essere i primi a soccombere alle proprie, dure leggi.
RARO perché… denuncia una situazione molto lontana da noi, ma incredibilmente vicina.
Voto: 7
Paolo Dallimonti