Sono 95 i film della nona edizione del Torino Underground Cinefest (https://tucfest.com/), che si terrà, dal 27 settembre al 5 ottobre 2022, al CineTeatro Baretti, sito in via Baretti, 2 a Torino.
Questo nono TUC, organizzato dall’Associazione Culturale SystemOut e dall’Università Popolare ArtInMovimento, e ideato e diretto dal regista Mauro Russo Rouge, prevede film provenienti praticamente da tutto il mondo. I Paesi più rappresentati sono USA, UK , Francia, Italia e Germania, ma certamente non mancano Taiwan, Sud Africa, Brasile, Argentina, Lettonia, Ucraina, Cina, Australia e Iran.
Sono 60 film in concorso ufficiale.
Family mottoes (Nagasawa Yoshiya). Monkey è un ninja in pensione che vive con la moglie e quattro figli in una foresta. La moglie provvede al mantenimento della famiglia ed è anche una rinomata ninja i cui servizi sono richiesti continuamente. Un giorno i figli di Monkey incontrano un vecchio misterioso che soffre di amnesia. Lo salvano da un cecchino che vive in cima ad una cresta vicina e decidono di riaccompagnare a casa l’anziano signore. Quesio è in realtà un ex Signore dei Samurai, che ora è ricercato vivo o morto. Inseguiti dai cacciatori di taglie, e con il cecchino davanti a loro, cosa ci sarà di questo pericoloso percorso per Monkey e la sua famiglia? Film a dir poco pop, scatenato e molto divertente, che stupisce continuamente per le direzioni intraprese. Nella migliore tradizione del wuxia, con splatter inattesi e movimentate scene d’azione che lasciano subito spazio alla commedia. Una sorta di compendio, godibilissimo! Scatenato. Selezione ufficiale. Voto: 8
Os Dragoes/The dragons (Gustavo Spolidoro). In una comunità conservatrice, cinque ragazzi fuori posto percepiscono delle bizzarre trasformazioni nel loro corpo. Di fronte all’età adulta e all’avversione della città, devono scegliere se accettare il loro lato “Dragone” o arrendersi alla noia e alle regole locali. Meraviglioso film brasiliano che porta pian piano sullo schermo una anomalia fantastica, ma presentandola semplicemente come fosse una qualsiasi problematica relata alla crescita. Lo scarso budget, per quanto non infimo, si trasforma in poesia, come nell’emozionante finale. Auxologico. Selezione ufficiale. Voto: 7 e ½
Sweet disaster (Laura Lehmus). Frida conosce il pilota di aerei Felix, appena lasciato dalla sua ex. Ma dopo sei mesi lui ritorna da lei, se non fosse ce c’è una novità: Frida è rimasta incinta inaspettatamente. Anche se alcuni seri problemi di salute causati dal proseguire della gravidanza costringono Frida a letto, lei, con l’aiuto della piccola Yolanda e di altre amiche più vetuste, prova lo stesso a riconquistare Felix, usando metodi assurdi, esagerati e a volte ridicoli… Brillantissima e innovativa commedia battente bandiera tedesca e tutta al femminile – in cui gli uomini dall’inizio alla fine non fanno certo una bella figura, tranne uno – Sweet disaster si distingue per il registro scanzonato con cui conduce tutta la narrazione, con le buffe visioni di Frida ed anche l’elemento drammatico – la gravidanza a rischio – ben dosati a punteggiare il racconto. Una vera sorpresa! Peri-gravidico. Selezione ufficiale. Voto: 7 e ½
The exam (Shawkat Amin Korki). Il destino della giovane curda-irachena Rojin sembra essere appeso ad una serie di prove scritte che le consentiranno di accedere all’università. La ragazza ha già tentato il suicidio e gli studi le permetteranno di evitare un matrimonio che lei non desidera. La sorella Shilan, già provata da un matrimonio infelice, farà di tutto per aiutarla, compreso pagare un’organizzazione ben infiltrata che fornisce agli studenti un sistema tecnologico per farsi comunicare le risposte esatte degli esami. Ma un inflessibile esaminatore ed una famiglia troppo tradizionale complicheranno non poco le cose… Coproduzione tra Germania, Iraq e Qatar per un film che è un urlo disperato contro la società patriarcale e maschilista e a favore dell’indipendenza e dell’emancipazione della donna, dove nessuno è puro: anche il ligio esaminatore, il più idealista, ha vissuto prima all’estero e non ha dovuto piegarsi alla corruzione come gli stessi professori che lo avevano allevato. Pellicola neorealista, ma con movenze thriller, che tiene incollato lo spettatore nel dinamico evolversi degli eventi. (Dis)Educativo. Selezione ufficiale. Voto: 7 e ½
La calma/The calm (Mariano Cócolo). Messa sotto pressione dagli acquirenti, Nancy dovrà decidere il da farsi circa il futuro della terra da vendere, ma anche riguardo a se stessa. Breve lungometraggio argentino in rigoroso biancoenero, il film di Cócolo affronta un momento decisivo della vita di una donna. Tra un padre malato e la volontà di ricominciare, ricostruire, lasciandosi dietro tutto. Un ritratto davvero intenso e sincero. Dry. Selezione ufficiale. Voto: 7
Redux (Heimir Biarnason). In un idilliaco villaggio nel sud dell’Islanda, la vita senza meta di una giovane fattorina viene stravolta quando il suo fratellastro scompare in seguito alla sospetta morte di sua moglie… Ambientato in mezzo ad atmosfere estremamente stranianti, tanto da farne una sorta di presente alternativo non meglio definito, il film ci conduce in un percorso delirante, ma estremamente suggestivo ed avvincente, fatto di strani eventi e strani personaggi che si avvicendano l’uno all’altro. Alla fine c’è anche la soluzione del mistero, ma tutto rimane come sospeso… Glaciale. Selezione ufficiale. Voto: 7
Wulver’s stane (Joseph Cornelison). Stoney Claire McKenzie, lottando per seppellire sogni sanguinosi e un passato grigio, si costruisce una nuova vita spacciando un elisir che altera la mente. Come direbbe Moretti citando l’insulso critico (de “Il manifesto”) in Caro diario: “vero pus underground!”. Un delirio horror con una trama minima in cui, come nei migliori film di Dario Argento, conta più la messinscena e ciò che viene mostrato allo spettatore rispetto alla trama. Una pellicola dalla quale lasciarsi trasportare senza chiederle altro. Ematico. Selezione ufficiale. Voto: 7
Hoopoe (Mehdi Ghazanfari). Un uomo che vende suoni si trova nella situazione di dover fare esperienza di acqua, terra, vento e fuoco per poter baciare una ragazza. Deve ascoltare ogni donna che incontra nel suo cammino – che sono in realtà una sola donna – e anche gli uomini, che sono un solo uomo, tranne lui stesso. Deve arrivare al punto che alla fine del suo viaggio, cancelli ogni suono che ha registrato per poterlo vendere, lasci tutto ciò che possiede, e sia messaggero dell’uomo che lui stesso è diventato. Un piccolo labirinto narrativo in cui tutto conta, dal suono all’immagine. Un tour audiovisivo che però non sempre funziona. Sonoro. Selezione ufficiale. Voto: 6 e ½
La Giuria Lungometraggi, presieduta dal regista danese Alexander Sagmo, affiancato dal regista e produttore Cristiano Anania, il giornalista Fabrizio Accatino e il regista Antonio Romagnoli, ha decretato come Miglior Film nella propria sezione il tedesco “Somehow” del collettivo Aki T. Weisshause con la seguente motivazione: «Splendido film, completamente libero nell’anima e nello stile. Il ritmo travolgente e i tempi cinematografici totalmente diversi dalla norma ne fanno un gioiello underground che sfugge a ogni classificazione, fondendo dissolutezza, malinconia e dolore con una sincerità disarmante».
“Somehow” vince anche per la Miglior Regia «per la capacità di prendersi tempi di regia tutti suoi, dilatandoli, frammentandoli, distanziandoli da quelli del linguaggio cinematografico tradizionale, rendendo così il film ancora più intenso e sincero».
Inoltre, Alexander Peiler di “Somehow” è il Miglior Attore «per la generosità con cui si dona al progetto con anima e corpo, trascinando lo spettatore in un viaggio interiore che tutti almeno una volta dovrebbero affrontare».
La Migliore Attrice è Tanìa Casciano del film argentino “The Calm” di Mariano Cócolo «perché l’interprete dimostra una capacità invidiabile di reggere scene molto lunghe e impegnative con la sola forza di uno sguardo imprigionato in un racconto asciutto fino alla scarnificazione».
Miglior Montaggio a Ebrahim Saeedi del film tedesco “The Exam” di Shawkat Amin Korki «per la sicurezza con cui il montaggio del film intreccia il dramma morale delle due protagoniste con la suspense e la tensione di un riuscitissimo thriller poliziesco».
Miglior Sceneggiatura a Ligia Ciornei per il film rumeno “Clouds of Chernobyl” «per l’originalità della storia e la capacità di contenere le tensioni del melodramma famigliare nella forma di un composto kammerspiel d’ambientazione sovietica».
La Menzione speciale della Giuria Lungometraggi va invece al tedesco “Sweet Disaster” di Laura Lehmus «perché si rivela un’opera brillante davvero ben congeniata, in grado di prospettare un futuro per il genere commedia anche nel cinema indipendente».
Il premio Miglior Cinematografia, decretato dal direttore della fotografia torinese Davis Alfano, a Jim Hickcox del film statunitense “Wulver’s Stane” di Joseph Cornelison.
Miglior Sound Design, decretato dal sound designer torinese Paolo Armao – a Alireza Alaviyan del film iraniano “Hoopoe” di Mehdi Ghazanfari.
La Giuria Documentari, presieduta dalla sceneggiatrice e produttrice Zelia Zbogar, al cui lato vi sono stati il giornalista e critico cinematografico Carlo Griseri, il docente di cinema e regista Enrico Le Pera e il montatore Paolo Favaro, attribuisce l’alloro come Miglior Documentario a “Village of Women” di Tamara Stepanyan-Ferrari con la seguente motivazione: «per la capacità della regista Tamara Stepanyan di indagare una comunità femminile malinconica e tenace, con sicurezza, ironia e calore. Perché il suo sguardo trova la giusta distanza tra osservazione e partecipazione restituendoci una generosa dose di femminismo vissuto. Un film che muove tra indipendenza ed esilio con una naturalezza ineluttabile».
Il premio per la Miglior Regia va a José Marques Carvalho Jr del film brasiliano “The Dream of the Useless” «per la vitalità e la caparbietà con cui José Marques Carvalho Jr mette in scena se stesso e la propria crew, attraverso una fuga necessaria dalla dura realtà quotidiana e dal futuro incerto. Dal 2006 al 2021, l’elaborazione di quindici anni di immagini, inizialmente amatoriali e comunque sempre autoprodotte, raccontano con incredibile vicinanza e sincerità il percorso di vita di un gruppo di giovani uomini, la città/paese di Rio de Janeiro – profondamente ingiusta – quanto la formazione dello sguardo di un cineasta».
Consegue, invece, il premio come Miglior Montaggio Stefano Deffenu per l’italiano “Ananda” «per la capacità di creare un racconto nel quale la realtà, la finzione e le metafore si confondono continuamente. Per la scelta di immagini che rifiutano l’esotismo a favore dell’autenticità. E per la maestria con cui le diverse linee narrative si alternano e convergono in un discorso libero e rapsodico. Ognuno di noi è accompagnato e insieme libero di perdersi in questo viaggio».
La Giuria dei Documentari attribuisce la propria Menzione Speciale al film svizzero “Dreaming an Island” di Andrea Pellerani «er il rigore estetico con cui Andrea Pellerani ha reso un paesaggio remoto e abbandonato dall’uomo, tra le cui tracce urbane la natura ha ripreso il suo corso. Uno sguardo non invasivo, giustamente distante, dove, più che i dialoghi, a narrare sono gli ambienti e i silenzi. Intendiamo premiare la forza della ricerca, indispensabile per un documentario, e la cura nella resa delle immagini, delle inquadrature e della fotografia nel rispetto della storia, delle persone e dello spirito del luogo».
La Giuria Cortometraggi, presieduta dal regista Antonello Schioppa che è stato coadiuvato dal regista e docente di cinema e teatro Bernardo Migliaccio Spina, dal produttore Pietro Cestari e dal critico cinematografico Giacomo Tinti, stabilisce che il Miglior Cortometraggio del nono Torino Underground Cinefest è il polacco “Fruits and Vegetables” di Maciej Jankowski con la seguente motivazione: «Un film completo e coerente sotto tutti i punti di vista. L’opera prodotta da Agata Golańska e magistralmente diretta da Maciej Jankowski accompagna lo spettatore all’interno di questa commovente storia: l’eterno conflitto tra genitori, rassegnati, e figli adolescenti, ancora in grado di sognare, declinato in un contesto quanto mai attuale».
Il premio alla Miglior Regia va a a Clémentine Carrié per il film francese “Gronde Marmaille” con la motivazione che segue: «Una tempesta incombente, una bambina che si annoia da morire, un ‘avventura fantastica pronta a cominciare. Questi sono i 3 principali elementi che costituiscono la storia di “Gronde Marmaille”, diretto da Clémentine Carrié, che si aggiudica con merito il Premio per la Miglior Regia al 9° Torino Underground Cinefest. Un film che si distacca nettamente dai tradizionali canoni narrativi per sposare con vivace convinzione gli stilemi di un cinema onirico e fantastico, ancorato tenacemente a un vivido senso di realtà. Molti i riferimenti al Neorealismo, alla Nouvelle Vague e al cinema antropologico, tutti generi amati e venerati dai cineasti francesi. Clémentine Carrié si destreggia leggiadra dietro la macchina da presa, dirigendo alla perfezione i due giovani protagonisti e conducendo in un viaggio magico e tribale lo spettatore. “Gronde Marmaille” non racconta una classica storia, ma apre una finestra sul quotidiano dei suoi protagonisti, per poi richiuderla poco dopo come se nulla fosse. È cinema esperienziale, spirituale, vitale. La sensazione che ti rimane è quella di aver corso, danzato e giocato assieme ai due protagonisti, in un turbinio di gesti e sensazioni. Un lavoro eccellente, che restituisce a suo modo, uno squarcio di vita e realtà».
Noée Abita del film francese “Tender Age” è la Miglior Attrice perché «incanta nel film di Julien Gaspar Oliveri. La sua è una di quelle interpretazioni in grado di arrivare fin sotto la pelle, colpendo la sensibilità di ogni spettatore. “Tender Age” è un dramma adolescenziale, che si focalizza su una ragazza sedicenne che scopre a suo modo la sessualità, interpretandola come mezzo d’accettazione tra i suoi coetanei. Un desiderio spasmodico di essere donna emerge dagli occhi drammaticamente ingenui della protagonista Diane. La recitazione di Noée Abita è estremamente fisica e intima, a tratti cruda e tagliente, fatta soprattutto di molteplici sguardi magnetici alla costante ricerca di attenzioni e di affetto. Si assiste a un dramma carnale dove il corpo vive e ondeggia in bilico tra due forze perennemente in conflitto: la voglia di esplorare la propria sessualità e l’ingenua innocenza di chi non è ancora pronto. Noée Abita interpreta alla perfezione questo tenero dramma, caricando sulle proprie spalle l’intera riuscita del racconto, restituendoci un ritratto duro e sincero, meritando all’unanimità il Premio come Miglior Attrice del 9° Torino Underground Cinefest».
Il premio Miglior Attore, ex aequo, a David Bradley del film britannico “Roy” «per la delicatezza e la tenerezza con cui ha saputo rappresentare la solitudine di Roy. Un dialogo, mediato dalla cornetta telefonica, attraverso il quale accompagna lo spettatore nelle altalenanti emozioni del protagonista di questo film»; e Mathéo Kabati del film belga “Titan” «per la capacità di restituire con forza e verità, nonostante la giovane età, l’irrequieta solitudine di un tredicenne perduto in un orizzonte di degrado e infanzia negata. Mathéo Kabati, fin dai primi fotogrammi, colpisce lo spettatore dando vita a un personaggio spavaldo, spietato e fragile al tempo stesso, in bilico tra la voglia di essere adulto e la necessità di essere ancora un bambino».
Vince il Premio per il Miglior Montaggio Greg Fox per il canadese “Monkey-Love, Please Hold”, accompagnato da questo testo: «A “Monkey – Love, Please Hold” va il Premio per il Miglior Montaggio del 9° Torino Underground Cinefest, con il merito di aver saputo interpretare al meglio il vero senso del linguaggio cinematografico. È risaputo che far ridere in maniera genuina e intelligente è molto più complicato che far piangere, e ciò non ha affatto intimorito il regista Greg Fox che ha messo in scena un’esilarante storia umana, interprete perfetta dei tempi recenti che abbiamo vissuto. La fine di un amore, la solitudine, l’isolamento domestico, la paura dell’esterno, il desiderio di affetto e accettazione, sono tutti gli ingredienti messi sullo schermo e sapientemente amalgamati da riprese frenetiche, primi piani, camera a mano, musiche ed effetti sonori a sorpresa. A dare ordine ed efficacia a questa ricca e caotica narrazione, il montaggio, unico e solo strumento in grado di conferire senso al racconto cinematografico. E così in “Monkey – Love, Please Hold” di Greg Fox è il montaggio il protagonista indiscusso, capace di conferire un ritmo frenetico e costante, con i giusti tempi comici, creando la condizione perfetta per immedesimarsi nei panni del protagonista».
Riceve la Menzione Speciale della Giuria Cortometraggi il cinese Hourglass House di Yinghai Hu «per la grande abilità nel raccontare, attraverso una sensibile padronanza di tutte le componenti del linguaggio cinematografico, l’universo magico e onirico dentro il quale un bambino incontra il senso profondo e misterioso dello scorrere del tempo, della vita, degli affetti».
Il premio Miglior Cinematografia, decretato dal direttore della fotografia torinese Davis Alfano, a Jordan Breedlove del cortometraggio statunitense “These Bodies” di Matthew Strasburger.
La Menzione Speciale ArtInMovimento proposta dalla redazione della testata main media partner del TUC, è andata al cortometraggio statunitense “Walking Around” di Gilles Bovon.
Dal nostro inviato Paolo Dallimonti