Abbiamo incontrato Pino Donaggio, celeberrimo compositore, tra gli altri, per Brian De Palma e Dario Argento, ospite al Trieste Science+Fiction Festival 2023 per presentare il restauro di Don’t look now (A Venezia.. Un dicembre rosso shocking) di Nicolas Roeg che segnò il suo debutto come musicista per il grande schermo.
Centraldocinema: Maestro, lei fino al 1973 è un brillantissimo cantautore, poi arriva Nicolas Roeg. Ci racconta com’è successo e come si è trasformato in compositore?
Pino Donaggio: Tornavo da una serata alle sei del mattino, ancora cantavo, e stavo sulla punta del vaporetto. A quell’ora quei pochi erano tutti seduti al coperto. Mentre passavo, accanto alla stazione c’era un certo Ugo Mariotti, al quale la parte produttiva inglese si era appoggiata per la logistica veneziana e quindi non aveva molto potere. Mi ha visto passare, così, da solo, come se fossi mandato dall’Aldilà. E alla stessa maniera, mi ha poi raccontato, hanno scelto anche Massimo Serato! Sempre alle sei di mattina, ma a piazza Navona a Roma… Io gli feci anche la battuta: forse avevi fumato tanto! (Ride, n.d.r.) Stavano girando il film a Venezia. Mi ha lasciato dormire un po’ o sarà andato a dormire anche lui e alle undici mi ha chiamato e mi fa: “Ti piacerebbe fare un film con Julie Christie, Donald Sutherland…?”. Ostia, attori importanti… e così mi ha incuriosito e quindi sono andato andato all’appuntamento a Londra e mi ha presentato Roeg. Io non parlavo inglese, lui mi traduceva e Roeg mi ha dato l’idea di cosa gli interessava del film, non aveva al momento altri compositori e io in tre settimane ho preparato tre temi. Uno che poi l’ha messo subito nel film per montare la scena d’amore e gli altri per i passaggi in vaporetto, quelli un po’ “vivaldiani”.
CdC: Lei non aveva visto nulla del girato?
PD: No, io ho visto solo da quel momento in poi. Siccome loro dormivano all’ albergo “Ala”, dove andavo sempre anche io e c’era la galleria di un mio amico, lì ho visto i giornalieri. Poi sono andato a vedere di notte mentre giravano e ho scritto altri temi. Poi glieli ho fatti sentire e gli sono piaciuti moltissimo: era entusiasta! Però… a Londra non mi volevano! Perché c’era il produttore di là, Peter Katz – Che nome! Tutto un programma! (Ride, n.d.r.) – che era musicista anche lui e considerava un rischio dare l’incarico ad uno che non avesse fatto mai niente, non conoscendo “Io che non vivo (senza te)”, non sapendo che fosse mia, perché a me non piaceva dire che avevo un grande successo alle spalle. Sono stato lì due giorni e mi hanno rimandato a Venezia con le pive nel sacco. Senonché – e questo grazie agli americani – arriva il produttore vero, quello che tira fuori i soldi, non ricordo il nome, quello che avrebbe fatto anche Forza 10 da Navarone (Anthony B. Unger, n.d.r.). Ha visto il film con la moglie – le mogli a volte sono importanti! – e gli è piaciuto molto: “Bellissimo! Ma”, disse, “quella musica che c’era sotto, cos’era?!”. Gli dissero che era di un giovane di Venezia – perché ero giovane, avevo 32 anni – che però non aveva mai fatto film e lui: “Ma se scrive questa musica qua, che problemi abbiamo?!”. E quindi tramite telegramma mi richiamarono subito.
CdC: Invece nel 1976 arriva Brian De Palma, che cercava della atmosfere “herrmanniane”, avendo già lavorato con Bernard Herrmann, e la chiama per Carrie. E iniziate un lungo sodalizio. Com’è andata?
PD: Mi chiamò proprio. Un suo amico, Jay Cocks, che dopo è stato anche sceneggiatore di altri film, di Scorsese ad esempio, passando per Londra ha comprato il mio disco,”Don’t look now”. Brian De Palma si lamentava che Herrmann, essendo morto, non avesse finito neanche tutta la colonna sonora di Taxi driver e che lui non voleva i soliti compositori hollywoodiani, voleva qualcosa di diverso. Quindi gli disse: “Stasera vieni a cena da me ché ti faccio ascoltare un compositore veneziano”. E così è stato, Brian mi ha conosciuto così. Io devo molto al tema del primo film. E la fortuna ha voluto che il montatore, Paul Hirsch, che poi ha preso l’Oscar per Star Wars, sapesse benissimo l’italiano poiché aveva studiato in Italia, dal momento che suo padre era ambasciatore, e mi chiamò, mi cercò al telefono, mentre io stavo facendo il film con Aliprandi (Un sussurro nel buio, n.d.r.). Mi disse: “Sai, ci interesserebbe che venissi su a fare il film Carrie di Brian De Palma”. Io venivo dalle canzoni, non è che conoscessi molto i registi, allora Aliprandi, il regista con cui stavo lavorando, mi disse: “Guarda che è uno della nouvelle vague di Hollywood, uno importante!”. Mia madre mi diceva sempre: “Butite nel mar grando!”, e così ho fatto, sono andato là allo sbaraglio.
CdC: Come lavorava con De Palma? La musica la scriveva prima, durante o dopo?
PD: De Palma mi chiamava alla fine del film, montato. All’ultimo. Non tagliava mai dopo che io gli davo i temi. Il sistema era questo: lui mi dava tutti i tempi, punti, musica, che tipo di musica fare, io tornavo a Venezia e scrivevo. Allora non c’erano i demo, non si mandavano, quindi lui sentiva la musica solo in sala d’incisione. È stato un grosso rischio per me… e per lui, ma io la notte prima non è che dormivo. Ma è andata sempre bene. Io scrivevo anche tra un intervallo e l’altro. Ad esempio, un piccolo pezzo che c’è su Carrie, quando la madre la rinchiude dentro prima che crolli tutto, un tema col violoncello, con lei che guarda Cristo, lui è rimasto incantato: “Ma come hai fatto”, mi disse, “così veloce, hai improvvisato?”. Io ho risposto: “Vabbè, io seguo quello che mi dici…”. E poi, facendo il cinema, ho scoperto anche di avere una memoria visiva molto forte, quindi una cosa se la vedo me la ricordo tutta.
CdC: De Palma poi come sappiamo “l’ha tradita”, spaziando in tantissimi generi, ma l’ha tradita anche con Morricone. Insieme a Moroder siete i principali italiani che fanno colonne sonore per i film di genere all’estero. C’è mai stata rivalità con Morricone?
PD: No, solo che Morricone, lui era “un po’ geloso, voleva far tutto. Lo so perché con Pasolini (Uccellacci e uccellini, n.d.r.) non lo avevano chiamato perché costava troppo e allora lui li ha contattati dicendo che lo avrebbe fatto gratis. La colonna sonora l’aveva già fatta un ragazzo e lui gli ha tarpato le ali subito. Lui era un pochino così… Un giorno mi ha pagato un caffè e han suonato le campane di San Pietro. (Ride, n.d.r.).
CdC: Qual è il film preferito tra quelli a cui ha lavorato?
PD: Il preferito in assoluto non ce l’ho, perché mi piace ad esempio di Carrie un pezzo, di Dressed to kill un altro, di Blow out il tema, la corsa di Travolta..
CdC: E qual è quello che avrebbe voluto fare?
PD: Rifiutato no. Per il film The believer di Schlesinger mi hanno mandato un telegramma alla SIAE il mese dopo e quando ho chiamato il film era già andato. Poi dovevo fare Saigon e stavo facendo un film qua, ma gli serviva subito. Un’altra occasione che ho perso è stato un film che stava facendo John Barry, Hammett: Indagine a Chinatown di Wim Wenders, ma a me pareva brutto sostituirmi a lui, visto che stavo cominciando, però per loro era il top: se tu sostituisci un grande, sei grande. Alla fine una mia fan giapponese delle mie canzoni, che si chiama Misa, mi ha mandato poi un dischetto con il film trasmesso in televisione perché le sembrava ci fosse la mia musica e c’erano tre pezzi di Tourist Trap che era un piccolo film horror che avevo fatto. Ma alla fine ufficialmente la colonna sonora è di John Barry.
CdC: Ultima domanda… Progetti per il futuro?
PD: Uscirà a Natale il film commedia Improvvisamente a Natale mi sposo con Abatantuono, seguito di Improvvisamente Natale, che avevo fatto sempre io, e poi il nuovo film di Paolo Franchi, Una notte un giorno. E spero poi tanti altri!
Dal nostro inviato Paolo Dallimonti.