Scheda film

Regia: Philippe Lioret
Soggetto: Emmanuel Carrère, Vite che non sono la mia
Sceneggiatura: Philippe Lioret, Emmanuel Courcol
Fotografia: Christophe Rossignon
Montaggio: Andréa Sedlackova
Scenografie: Yves Brover
Costumi: Anne Dunsford
Musiche: Flemming Nordkrog
Francia, 2012 – Drammatico – Durata: 120′
Cast: Marie Gillain, Vincent Lindon, Amandine Dewasmes, Yannick Rénier, Isabelle Renauld, Pascale Arbillot, Laure Duthilleul
Uscita: 11 maggio 2012
Distribuzione: Parthénos

Sale: 39

 Un’altra (bella) sonata per le persone buone

Il cinema di Lioret è un cinema fatto di storie predisposte ad assumere la forma degli incubi lieti. Storie che nascono spontaneamente dai volti spesso stanchi e scavati e nell’insieme talmente umani dei personaggi sempre al centro delle sue scene, ai quali sembra il più delle volte appartenere una tristezza già insita e conosciuta, e che solo lungo il corso della vicenda avrà modo di trovare una spiegazione che non sia quella di una sorta di infelicità congenita caratteristica delle persone buone e volenterose. Le sue donne poi, quelle che in particolar modo assurgono da specchio salvatore delle anime dal cuore d’oro, non sono altro che delle ragazze piccole e magroline, incerte nei propri passi eppure, allo stesso tempo, abbastanza forti da combattere battaglie già perse in partenza ed uscirne in qualche modo ancora più forti e vincenti, pronte a battersi di nuovo e ancora.
Infine i vestiti lunghi, le maniche arrotolate, la magrezza che fa rima con tristezza e gli ospedali, onnipresenti nelle sue opere come ricerca sconsolata di aiuto esterno; quell’aiuto che arriva nel momento giusto attraverso l’incontro con uno sconosciuto: chiave risolutiva di ciascuno dei suoi lavori, porta a pensare che, un po’ come nel film di Henckel von Donnersmarck, siano proprio Le vite degli altri ad avere il potere di salvare la nostra, finanche quando crediamo sia troppo tardi.
Liberamente ispirato al romanzo “Vite che non sono la mia” di Emmanuel Carrère, Tutti i nostri desideri racconta stavolta la storia di Claire, giovane magistrato di Lione alle prese con un male inimmaginabile e segreto, che un giorno, per caso, si imbatte nella madre della compagna di classe di sua figlia, citata per sovraindebitamento in tribunale. Decide allora di coinvolgere Stéphane, giudice esperto e disincantato ma sensibile al problema. E tra i due nasce qualcosa: in bilico tra il desiderio di cambiare le cose e un legame profondo, alla medesima maniera di Bilal e Simon in Welcome o di Lili e Thomas in Je vais bien, ne t’en fais pas, dov’è sempre la forza di un incontro a riassegnare i compiti e i ruoli in modo che tutto sembri funzionare meglio di prima.
A tal proposito Claire, interpretata da una meravigliosa Marie Gillain, è un po’ la Mélanie Laurent chiusa e abbandonata volontariamente a se stessa di Je vais bien, ne t’en fais pas: nell’insieme non ha proprio un bel niente che possa distinguerla da qualunque altro magistrato, non fosse per quel suo sguardo intatto, sicuro e insicuro, dolce e distaccato, coinvolto e trasognato che sembra schiantarsi a terra, contro il pavimento, ogni volta che qualcun altro vorrebbe scrutarci dentro alla ricerca della vera Claire, prim’ancora moglie, madre e figlia come chiunque altro.
Philippe Lioret, ancora una volta, costruisce a tavolino due personaggi, quello di Claire e di Stéphane (Vincent Lindon), che intessono da soli la trama dell’ennesimo, piccolo capolavoro francese, che forse stavolta è più disilluso e realista di quello che ci aveva promesso nelle altre opere, ma che come un filo rosso riesce a toccare tutti gli argomenti a lui cari – la giustizia, l’ingiustizia, l’amore e l’amicizia e alfine la bontà, quell’amata bontà di fondo – per poi annientarli sul finale: crudele, spietato, così verosimilmente disumano.

Voto: * * *¾

Eva Barros Campelli