Scheda film

Regia: Luca Miniero
Soggetto e sceneggiatura: Luca Miniero e Federica Pontremoli
Fotografia: Federico Angelucci
Montaggio: Valentina Mariani
Scenografia: Monica Vittucci
Costumi: Eleonora Rella
Musiche: Umberto Scipioni
Italia, 2014 – Commedia – Durata:102’
Cast: Rocco Papaleo, Luca Argentero, Paola Cortellesi, Angela Finocchiaro
Uscita: 1 gennaio 2014
Distribuzione: Warner Bros

 Arresti familiari

Anno nuovo, commedia nuova, verrebbe da dire. Nel caso di Un boss in salotto, speriamo però che il buongiorno non si veda dal mattino, perché quella che si presenta come la prima commedia made in Italy del 2014 non strappa a nostro avviso nemmeno una risicata sufficienza. Sottratta intelligentemente all’affollato cartellone natalizio, l’ultima fatica dietro la macchina da presa di Luca Miniero approda nelle sale nostrane a partire dall’1 gennaio con le 450 copie messe a disposizione dalla Warner Bros. La pellicola scritta e diretta dal regista partenopeo fa registrare infatti un evidente passo indietro rispetto ai precedenti, tenendo ben presente che anche il sequel del fortunato Benvenuti al Sud aveva lasciato nel 2012 l’amaro in bocca a più di uno spettatore. Il perché va rintracciato probabilmente nella grande attesa che Benvenuti al Nord non aveva saputo rispettare fino in fondo. Ed è con quegli strascichi che il pubblico, gli addetti ai lavori e Miniero stesso, devono giocoforza fare i conti.
In Un boss in salotto, il regista racconta la storia di Cristina, un’energica meridionale trapiantata in un piccolo centro del Nord dove è finalmente riuscita a costruirsi una vita e una famiglia perfette insieme al marito, Michele Coso e ai loro due splendidi figli. Un giorno la donna, convocata in Questura, scopre che suo fratello Ciro – che non vede da 15 anni – è implicato in un processo di camorra e ha chiesto di poter trascorrere gli arresti domiciliari a casa sua. Cristina suo malgrado accetterà e da quel momento i suoi piani e l’ordinatissima routine dei Coso verranno letteralmente sconvolti dall’arrivo dello zio Ciro, un tipo tutto tatuaggi, catene d’oro e poco abituato alle buone maniere.
Già dalla lettura della sinossi, ampiamente confermati dalla successiva visione, vengono a galla sullo schermo una serie di palesi limiti e di dubbi che non consentono al film di scongiurare il pericolo di una brusca frenata. Prima di tutto emerge l’incapacità, o meglio la mancanza di volontà da parte di Miniero, di staccarsi dal fattore territoriale e soprattutto da quel dualismo tra Nord e Sud che in questo plot, anche se messo sullo sfondo, continua a servire per alimentare le gag e le battute. Spostata l’azione in alta Italia, un po’ come accaduto ne Il Principe abusivo di Siani o nelle commedie firmate Zalone, il suddetto dualismo non passa in secondo piano, a differenza di quanto dichiarato dall’autore in occasione della presentazione stampa romana. Il tutto, invece, si tramuta per quanto ci riguarda in qualcosa di molto più presente e non di una semplice base sulla quale approfondire altre tematiche. Intorno e su questo confronto culturale, dialettale e sociale, lo script avvolge i fili della “matassa” drammaturgica, anch’essa come avremo modo di constatare del tutto priva di originalità. La meridionale che rinnega le sue origini abbracciando qualcosa che non le appartiene, così come l’accondiscendenza nei confronti di certi comportamenti che risultano comuni a entrambe le estremità del nostro Paese, o ancora la famiglia perfetta le cui abitudini sedimentate vengono stravolte e messe a dura prova dall’entrata in scena della mina vagante di turno, non possono non risvegliare nella mente passate e più recenti produzioni proveniente delle diverse latitudini. Poi c’è il tentativo piuttosto goffo e superficiale di ironizzare sul tema mafia; decisamente poca cosa rispetto a quanto mostrato da Pif nel riuscito esordio alla regia con La mafia uccide solo d’estate. Per chiudere infine con un dubbio che, pur rischiando di sbagliare, ci sentiamo di sollevare così da avere qualche conferma o smentita. Può un presunto colpevole in attesa di un processo, per di più accusato di essere affiliato ad un clan camorristico, al quale sono stati imposti gli arresti domiciliari, vagare notte e giorno per il paese?
Per il resto, Un boss in salotto si accartoccia su se stesso come gran parte delle commedie popolari tricolore, aggrappandosi con le unghie e con i denti a soluzioni comiche telefonate che regalano solo una manciata di risate a buon mercato, legata il più delle volte alle scene che vedono impegnato Rocco Papaleo nei panni di Ciro (il gatto ucciso con il petardo e la cena con i Manetti). 

Voto: 5

Francesco Del Grosso