Scheda film
Titolo originale: Un divan à Tunisi
Regia, Soggetto e Sceneggiatura: Manèle Labidi
Fotografia: Lauren Brunet
Montaggio: Yorgos Lamprinos
Scenografie: Mila Preli e Raouf Helioui
Costumi: Hyat Luszpinski
Musiche: Flemming Nordkrog
Suono: Olivier Dandré, Jerôme Gonthier, Rym Debbrarh-Mounir, Samuel Aïchoun, Jamel Sassi
Francia/Tunisia, 2019 – Commedia – Durata: 87′
Cast: Golshifteh Farahani, Majd Mastoura, Aïcha Ben Miled, Feriel Chamari, Hichem Yacoubi, Najoua Zouhair,
Uscita in sala: 8 ottobre 2020
Distribuzione: BIM Distribuzione

Edipo a Tunisi

Il divano del titolo è quello di Selma (Golshifteh Farahani), una giovane psicanalista dal carattere forte e indipendente che torna nella sua Tunisi dopo anni di studi e di professione a Parigi dove è cresciuta insieme al padre. Nel paese c’è stata la Primavera araba, ma molte cose sono lungi dal cambiare e aprire uno studio privato si rivela impresa di non poco conto. La ragazza si scontrerà con un ambiente non proprio favorevole e con i suoi parenti che cercheranno di scoraggiarla, mentre il suo studio inizierà a popolarsi di pazienti alquanto eccentrici e ad essere fonte di problemi burocratici all’apparenza insormontabili…

Manèle Labidi, al suo debutto nel lungometraggio dopo il corto Une chambre à moi del 2018, affronta il tema della psicoanalisi, correlata alla sua religione e al suo paese, dopo aver sconvolto la madre rivelandole di essere stata in analisi: la donna per questo l’accusava di aver resa pubblica la sua vita affidandola ad un estraneo.

La regista di Un divano a Tunisi mette in scena una sorta di metafora, cercando di psicanalizzare, attraverso la vicenda di Selma, anche il suo stesso paese. Ambientando la storia pochi mesi dopo la caduta di Ben Ali, sorta di secondo padre della Tunisia – che il nonno rimbambito ancora considera in auge – e quindi poco dopo la rivoluzione, immagina la sua nazione come una persona che, cominciando una psicoterapia, si senta persa inizialmente, ma poi riesca a mettere insieme ogni tassello e a riabilitarsi.

Così un paese che ha appena ucciso il suo Edipo e che si sta risvegliando dopo un lungo sonno diventa uno scenario perfetto per una protagonista che sta cercando di mettere ordine nella propria vita, di riscoprire le propri radici, ma anche di affermarsi come donna.

Le disavventure di una Selma turbata da visioni sibilline, alle prese con una nipote ribelle in cui si rivede, con un poliziotto integerrimo che ha però un debole per lei e con i suoi strampalati pazienti, scandite da celebri canzoni di Mina e da una lingua che oscilla tra il francese e l’arabo, in una specie di dialetto interamente tunisino – e che il doppiaggio italiano appiattirà inesorabilmente con la grazia di una mannaia – finiscono comunque per essere molto divertenti.

Un divano a Tunisi rimane così una commedia imperfetta, a tratti superficiale e con qualche caduta di ritmo, diretta però da una quasi Woody Allen in gonnella e alla fine di certo interessante.

Voto: 6 e ½

Paolo Dallimonti