Scheda film
Regia: Giorgio Diritti
Soggetto: Giorgio Diritti, Fredo Valla
Sceneggiatura: Giorgio Diritti, Fredo Valla, Tania Pedroni
Fotografia: Roberto Cimatti
Montaggio: Esmeralda Calabria
Scenografie: Jean-Louis Leblanc e Paola Comencini
Costumi: Hellen Crysthine Bentes Gomes e Lia Morandini
Musiche: Marco Biscarini e Daniele Furlati
Suono: Carlo Missidenti
Italia/Francia, 2012 – Drammatico – Durata: 110′
Cast: Jasmine Trinca, Anne Alvaro, Pia Engleberth, Sonia Gessner, Armanda Fonseca Galvao, Paulo De Souza, Eder Frota Dos Santos
Uscita: 28 marzo 2013
Distribuzione: BIM
The pursuit of happiness
Giorgio Diritti torna a raccontare le dinamiche di una comunità attraverso un viaggio introspettivo al femminile, seguendo i passi di una donna che per elaborare un grave lutto decide di recidere i ponti con il passato e di accompagnare una suora nella sua lunga e spesso faticosa missione in Amazzonia: a quattro anni dal successo de L’uomo che verrà, il regista bolognese continua a puntare i riflettori su un microcosmo chiuso (tema centrale anche nell’esordio Il vento fa il suo giro), concentrandosi in questo caso sull’integrazione di un “estraneo”, sulla contaminazione globale, sulla progressiva frantumazione delle certezze e sul tentativo di ricostruire nuovi equilibri.
Un giorno devi andare fotografa il dramma di una donna che per esorcizzare il trauma di un grande dolore decide di farsi travolgere dalla maestosità di una terra dalla bellezza struggente, nella quale ingigantire il senso di inadeguatezza – sentendosi insignificante al cospetto della natura – o al contrario riconoscersi come parte di un universo armonico e inscindibile: è un viaggio alla ricerca della felicità quello intrapreso da Augusta, che gradualmente sembra trovare la propria dimensione attraverso una radicale ridefinizione delle priorità. Liberandosi dalla gabbia di costrizioni che la legano al suo passato e ne inibiscono la spontaneità, la donna riscopre la visceralità del vivere (“Un giorno devi andare, devi essere” scrive alla madre), ricominciando ad apprezzare la semplicità e l’essenza dei rapporti e delle relazioni: è attraverso lo specchio della protagonista che Diritti finisce per raccontare una comunità che nei suoi ritmi, nelle sue lentezze e nella sua costante interconnessione ha trovato la propria forza e la propria identità, minacciata da un progresso che rischia di sgretolarla, snaturarla e distruggerla.
Ma se la terra e l’uomo rappresentano un pilastro fondante cruciale nella struttura del film, non stupisce che Un giorno devi andare faccia della fede e della trascendenza una direttrice narrativa tutt’altro che marginale: dal processo di evangelizzazione al controverso legame dei missionari con gli imprenditori che scelgono di investire in quei territori, il film intreccia temi e suggestioni diversificate ma finisce soprattutto per interrogarsi sulla vita con o senza Dio, sulla religione come occasione di crescita o come prigione, giungendo infine alle consuete ma sempre vive domande esistenziali che trovano linfa vitale nella dilatazione dei tempi e degli spazi di riflessione.
È un viaggio complicato e intenso quello che cerca di portare sullo schermo Diritti, una stratificazione di pensieri che intrecciano alla semplicità della vita in una favela i grandi interrogativi della filosofia, tratteggiando il ritratto del disperato bisogno di una normalità che si discosti dalla straniante freddezza della contemporaneità di stampo “occidentale” attraverso il recupero della dignità nel vivere: c’è il desiderio dell’incontro e del reciproco arricchimento, la comprensione profonda dell’importanza dell’altro ma anche la valorizzazione dell’indipendenza nel discorso portato avanti da Un giorno devi andare, che se da un lato sottolinea il calore dell’accoglienza e della comprensione del “diverso”, dall’altro punta i riflettori sul tentativo di “corruzione” e “omologazione” dello spirito (la comunità di Manaus è minacciata dalla costruzione dei nuovi agglomerati urbani in sostituzione delle baracche e delle palafitte, ma alla distruzione del quartiere e dei suoi equilibri corrisponde anche il coinvolgimento dei tanti giovani in nuove corrosive dinamiche).
Al film – che pure in realtà sembrerebbe potersi iscrivere in continuità con il precedente progetto di Diritti – pare mancare l’asciuttezza de L’uomo che verrà, la sua dura compattezza e solidità, che qui si perde in un percorso di autoanalisi e crescita al quale forse manca qualche tassello nella ricostruzione empatica: mentre si susseguono alcune finestre dal taglio para-documentaristico che strizzano l’occhio alla fascinazione per la Natura e per l’Uomo come individuo sociale, le grandi contrapposizioni culturali ed emotive del film si polarizzano sui due luoghi della vita di Augusta (il passato in Trentino, algido e anaffettivo, contro l’abbraccio dell’Amazzonia), ma in realtà quello che incide è il profondo senso di incompletezza e di sospensione che segna la protagonista, alla ricerca di un “senso” che stenta a rintracciare, lasciando spazio alla constante insoddisfazione.
Presentato al Sundance Film Festival, Un giorno devi andare è un’ode alla vita e al vivere, all’accoglimento dell’altro e alla costante ricerca di stimoli, alla preservazione della propria identità ma è anche una celebrazione della comunità come terreno di formazione e di sviluppo: e come ne L’uomo che verrà si fa cruciale l’apporto femminile nell’evoluzione della storia, con la centralità narrativa (e non solo) del ruolo della maternità, fucina di speranza e di futuro anche nel dolore.
Peccato che il film sembri talora pagare il prezzo di qualche eccessivo schematismo che finisce per indebolire la spontaneità del racconto, che pure sa restituire con compiutezza e senza indugiare eccessivamente nel didascalismo il dramma e il desiderio di rinascita della protagonista, perché come spesso accade a fare la differenza non è tanto la meta, quando il viaggio che vi conduce.
Voto: * *¾
Priscilla Caporro
Il troppo stroppia
Un Giorno Devi Andare parte subito con un’inquadratura molto ambiziosa, quasi citando un simbolismo alla Kubrick, se vogliamo. L’immagine di un bambino che si muove all’interno del ventre materno e come sfondo la luna in una notte stellata. Un lavoro che mostra dal principio una forte impronta esistenzialista quindi, ma che non riesce a reggere poi durante il proseguire della storia queste ambiziose premesse, mescolando un po’ alla rinfusa schemi narrativi e schemi simbolici, che si accavallano mettendo in un unico calderone troppi temi, che finiscono per calpestarsi i piedi l’uno con l’altro, proprio in virtù della loro importanza capitale.
Il film narra la storia di Augusta (Jasmine Trinca), una giovane donna in cerca di sé stessa che si trova in Brasile, dopo aver abbandonato l’Italia, dove ha invece lasciato il resto della sua famiglia, ossia sua madre e sua nonna, in seguito al divorzio dal marito, da cui è stata abbandonata per la sua impossibilità ad avere figli. E’ proprio infatti il pensiero di un bambino mai avuto che spinge Augusta ad intraprendere questo viaggio, oltre che geografico anche spirituale, che la porterà a conoscere meglio la popolazione degli Indios, prima con Suor Franca, missionaria amica di famiglia, e successivamente da sola, una volta stabilitasi con una famiglia nelle Favelas. Le vastità dei paesaggi brasiliani aiuteranno la protagonista e interrogare sé stessa sul senso che la sua vita dovrà assumere e i nuovi incontri con la gente del luogo le faranno vedere la vita in una chiave del tutto inedita.
Il voler affrontare sia il tema della ricerca della pace interiore, sia il voler intraprendere una descrizione delle popolazioni locali (fin troppo edulcorata, dato che l’accessibilità con la quale il personaggio della Trinca entra a far parte della comunità delle Favelas non rispecchia affatto le difficoltà reali riguardo l’entrare in contatto con quella popolazione), inserendoci anche il rapporto uomo-Dio (ricalcando peraltro palesemente il modus operandi dei film di Terence Malick) e il complicato relazionarsi con la madre, finiscono per confondere Diritti, che mentre nei suoi lavori precedenti, Il Vento Fa Il Suo Giro e L’Uomo Che Verrà, si era concentrato su storie molto più definite e sincere, qui non riesce ad esprimere un vero e proprio punto di vista, in un film che per come è stato impostato, richiede assolutamente una presa di parte (cosa che già di sé stessa non è apprezzabilissima) e riesce in molti punti a scadere in un manierismo simbolico e buonista che francamente in un film del 2013 risulta un po’ anacronistico.
Un vero peccato che questo lungometraggio del regista bolognese si perda in una pluritematicità confusionaria, perché il punto di partenza è molto interessante, ossia l’impulso di voler andar via, di volersi recare oltre l’ordinario, per poter capire meglio sé stessi e forse anche per riuscire ad avvicinarsi a Dio, o a chi per lui. Argomento che avrebbe benissimamente potuto essere l’unico del film e che gli avrebbe dato un’impronta più coerente, senza dover soffermarsi per forza su inutili (in questo caso ovviamente) divagazioni narrative, dove Augusta affronta la vita di queste Favelas, che chiunque abbia intrapreso un’esperienza di volontariato in Brasile, potrebbe confermare essere una versione assolutamente distante dalla verità per molti aspetti.
Senza dubbio Diritti si riprenderà da questo scivolone, ma certo dispiace vedere come uno dei registi più interessanti del panorama italiano abbia un po’ perso la bussola con questo suo ultimo lavoro. Ma comunque si sa, nessuno è perfetto.
Voto: * *
Mario Blaconà
Alcuni materiali del film: