Scheda film
Regia: Alexander Payne
Soggetto e Sceneggiatura: Bob Nelson
Fotografia: Phedon Papamichael
Montaggio: Kevin Tent
Scenografie: J. Dennis Washington
Costumi: Wendy Chuck
Musiche: Mark Orton
Suono: José Antonio García
USA, 2013 – Drammatico – Durata: 115′
Cast: Bruce Dern, Will Forte, June Squibb, Bob Odenkirk, Stacy Keach, Mary Louise Wilson, Rance Howard
Uscita: 16 gennaio 2014
Distribuzione: Lucky Red
On the road again
Woody, un anziano del Montana, scappa ripetutamente di casa nel tentativo di raggiungere il Nebraska dove è convinto di ricevere un ricco premio della lotteria. Preoccupati dal suo stato mentale, i familiari dibattono a lungo sul metterlo o meno in una casa di cura, fino a quando, uno dei due figli decide di accompagnare il padre in questo folle viaggio.
Con questo nuovo lavoro Alexander Payne ci porta nella profonda provincia statunitense, quella in cui dopotutto vive la stragrande maggioranza del popolo nordamericano che, al netto delle grandi città, abita in spazi molto ampi e poco popolati. La vera America, quella rude, conservatrice e diffidente nei confronti dello straniero. In questi luoghi il regista nativo di Omaha (capoluogo della contea di Douglas, proprio nel Nebraska), ambienta una storia on the road, che è anche un confronto tra generazioni e che nasconde, dietro le pieghe di grigio di una splendida fotografia in bianco e nero, un continente stanco, pieno di rimorsi e di rancore. E’ l’America della crisi, è l’America di oggi.
Il denaro, la sua assenza per essere precisi, è un oggetto che nel cinema americano degli ultimi anni ritorna molto spesso, forse perché è stato la causa (il suo eccesso) e la conseguenza (la sua mancanza) della forte crisi economica vissuta dagli USA negli ultimi anni (qui in Italia ne sappiamo qualcosa, di crisi) e anche in Nebraska il raggiungimento di un premio della lotteria di un milione di dollari (cifra simbolica che a partire dai film di John Ford fino ad arrivare agli ultimi film di Martin Scorsese ha sempre simboleggiato la ricchezza, come soluzione di tutti i problemi), sembra essere il catalizzatore di tutto il flusso narrativo del film, portando un padre, Woody (interpretato con grande bravura da un ottimo Bruce Dern), che è sempre al limite tra l’ingenuità e l’inganno a se stesso e un figlio, David, brav’uomo deluso dalla vita che, nonostante le delusioni ricevute dal padre, decide, carico del suo sentimento di compassione verso Woody, di accompagnarlo in questo viaggio inverosimile.
Ma, come spesso si suol dire, in questo caso l’importanza non viene data alla meta, ma bensì al viaggio, un viaggio formativo per entrambi i protagonisti, che avranno l’occasione di capirsi e di studiarsi, cercando di arrivare ad una resa dei conti del loro refrattario e confuso rapporto. Oltre a questo inoltre c’è il tentativo, per un uomo ormai stanco e ingobbito dal tempo, come è appunto Woody, di riconquistare un po’ di dignità, che gli verrà concessa simbolicamente dal figlio, verso la fine, donandogli la guida del furgone che il padre avrebbe sempre voluto. Un gesto che comunque avrà vita breve, perché Payne, invece di non girarla, rifiutando un finale edulcorato, decide comunque di riprendere la scena dove, dopo pochi chilometri, il figlio (la nuova generazione) riprende la guida del pick-up, togliendola al padre (la vecchia e stanca generazione), non più in grado di guidare per grandi distanze. Una scena senza musica, senza parole, solo il silenzio di un gesto privativo di quella effimera dignità riguadagnata per qualche istante.
Traendo le dovute conclusioni, Nebraska, raccogliendo l’eredità di un certo cinema indipendente americano (vedi Broken Flowers di Jim Jarmusch) è un film ironicamente disilluso (il classico umorismo nero tipico di Payne è sempre molto presente nei dialoghi), capace di spalancare gli occhi davanti al rancore, all’amarezza, ma in alcuni momenti, anche davanti a qualche attimo di tenerezza.
Voto: 8
Mario Blaconà
#IMG#Non è un semplice road movie dove i protagonisti viaggiano su strada ma anche lungo le loro coscienze e consapevolezze in un percorso interiore che migliorerà le loro vite. E’ anche questo, ma non solo. Nebraska (dal nome dello Stato americano in cui è ambientato) di Alexander Payne, presentato in concorso al Festival di Cannes, è un film singolare, commovente che mostra la vera natura umana. Un anziano padre che sembra svitato ma alla fine si scopre che non lo è nemmeno tanto, convinto di aver vinto alla lotteria, convince il figlio più piccolo ad accompagnarlo a ritirare il fantomatico premio.
I due vengono raggiunti dall’altro figlio e la madre e, grazie a piccoli incidenti e disavventure durante il viaggio, si crea quella complicità familiare e quell’unione che non provavano da anni.
A uno sguardo poco attento il film trasmette solo curiosità e divertimento, ma sotto questa superficie di ironia e non senso beckettiano si nascondono profondità e autentici valori.
L’incursione tra i parenti dimenticati del padre, che si dimostrano insensibili e opportunisti di fronte all’improbabile vincita milionaria, oltre a mettere a nudo il mito dell’istituzione familiare nella cultura americana, rende ancora più evidente il legame e l’affetto tra i due (quattro) protagonisti, nonostante le loro piccole incomprensioni e i frequenti bisticci.
Girato in bianco e nero, quasi a voler concentrare l’attenzione sui dialoghi, Nebraska è un piccolo gioiello di realismo, lento e pacato, incarnato dall’interpretazione di Bruce Dern. Candidato all’oscar come miglior attore protagonista, Dern riesce a dare l’immagine di un vecchio che solo all’apparenza cerca il facile arricchimento ma in realtà insegue il sogno americano per aiutare i suoi figli, con una disarmante ammissione di impotenza e una commovente semplicità. Il viso rugoso e burbero, i capelli bianchi sempre scompigliati al vento, il suo sguardo assente, il passo claudicante, esprimono una tenerezza tale da sperare che alla fine abbia vinto davvero i soldi della lotteria (anche se fin dal principio è evidente che il biglietto è un semplice volantino pubblicitario). Il viso così eloquente viene spesso inquadrato come metafora esistenziale dei tempi moderni dove regna confusione e individualismo.
I dialoghi svuotati di sensatezza, alcune scene al limite del “politically correct”, insieme alla dimensione più profonda del film, fanno di Nebraska un film intimo e piacevole che omaggia i “padri” e insegna che non è mai troppo tardi per dare importanza alle relazioni umane e familiari.
Voto: 8
Marta Fresolone