Recensione n.1
***1/2 spoiler alert: level 2
Sarebbe sicuramente piaciuto a Rod Serling (l’ideatore della serie televisiva cult “Ai confini della realtà”), questo insolito film americano. Ma il termine “insolito” in questo caso ha una spiegazione: il soggetto non è americano. Infatti “Vanilla Sky” è il costoso remake-fotocopia del pluripremiato film “Apri gli occhi” del venticinquenne regista spagnolo Alejandro Amenàbar (che ha poi diretto l’ex Signora Cruise in “The Others”).
L’originale mi era piaciuto parecchio ed ero molto curioso di vedere che cosa ne sarebbe venuto fuori dalle mani di un regista molto personale come Cameron Crowe (“Quasi famosi”). Il risultato è il medesimo dell’originale, pur con qualche venatura ironica in più e qualche intervento musicale di troppo (ok, lo sappiamo che il regista era un critico musicale, non c’è bisogno di ricordarcelo ogni due minuti…). Di certo dall’originale si porta dietro difetti e pregi, ma questo è dovuto ad un soggetto “ad orologeria”, impossibile da smantellare se non a discapito della storia stessa. Non voglio aggiungere di più per non rovinarvi il film, ma sappiate solo che difficilmente potrà piacere a molti: per tre quarti della storia lo spettatore rimane spiazzato, sembra che non accada nulla e alla fine uscire dal cinema un po’ perplessi è più che lecito (malgrado il tutto sia più spiegato, più affettato dell’originale, ad uso e consumo di chi ha qualche difficoltà ad aprire un po’ la mente…).
DA TENERE: Cameron Diaz ruba la scena più di una volta ai veri protagonisti del film risultando, con Jason Lee e l’ottimo Kurt Russel, più convincente della nuova coppia hollywoodiana.
QUISS: Alla festa di compleanno del protagonista, un signore barbuto lo saluta e lo abbraccia apostrofandolo con un “Ciao figlio di puttana!”: forse avrò avuto le allucinazioni, ma a me è sembrato tanto un certo regista che ha diretto Tom Cruise nel suo successivo lavoro…
DA BUTTARE: La colonna sonora è bellissima (come in tutti i film di Cameron Crowe), ma alle volte non c’entra nulla e rischia di azzerare il pathos di certe scene.
NOTA DI MERITO: L’aver mantenuto quest’aurea di film indipendente, anomalo e per pochi, anche se qualche patinata di troppo c’è eccome.
NOTA DI DEMERITO: Al solito Tom Cruise gigioneggia anche quando non ce n’è bisogno.
CONFRONTO 1: Il protagonista Tom Cruise non capisce una mazza: molto meglio Cameron Diaz di Penélope Cruz.
CONFRONTO 2: L’uomo Tom Cruise non capisce una mazza: molto meglio la sua ex moglie Nicole Kidman della sua attuale compagna Penélope Cruz.
CONFRONTO 3: Penélope Cruz che in “Apri gli occhi” interpretava la stessa parte (evviva la fantasia!) era molto più bella di Penélope Cruz in questo remake.
PRECISAZIONE PERSONALE: A me Penélope Cruz mica dispiace, solo che non capisce una mazza: molto meglio io di Tom Cruise! Ooookkei, niente commenti per favore, abbiate pietà… ;o)
MI COSPARGO IL CAPO DI CENERE PERCHE’: ero convinto che nel remake americano Penélope Cruz non avrebbe mostrato il seno come nella pellicola originale, e invece… Grandi momenti di cinema…
SITO UFFICIALE: http://www.vanillasky.com/
Ben, aspirante Supergiovane
Recensione n.2
Remake – parola inglese che nell’ambito cinematografico significa sostanzialmente riprendere una storia già narrata per immagini, ricostruirla evidenziando punti in precedenza oscuri, oscurando punti in precedenza evidenti, riadattando insomma al gusto del nuovo sceneggiatore, del nuovo regista e, spesso, al gusto degli spettatori cambiato col tempo, la trama di un film già visto.
Come l’arcinota ciambella, a volte certe operazioni riescono in pieno, altre volte il buco non appare, il remake si rivela un abbrutimento assoluto dell’originale. In questo caso, la ciambella non ha il buco, le scelte registiche e di sceneggiatura sono quantomeno opinabili, le interpretazioni sono in qualche caso al massimo, o poco meno, delle possibilità ed in altri casi al minimo storico.
Crowe ama la musica, e questo si sapeva, in “Singles – L’amore è un gioco” è riuscito a far correre la colonna sonora in soccorso alla pochezza della trama, il primo rimprovero per quest’ultimo suo lavoro è di aver spezzettato la musica in decine di incipit metricamente simili se non identici, a supporto di inquadrature e stacchi chiaramente identici. Non volendo prendere nemmeno in considerazione i pettegolezzi da corridoio, i passaparola che legano la storia d’amore tra Tom Cruise e Penelope Cruz al battage pubblicitario necessario al successo di un film altrimenti ignorabile, chi riferisce di una omosessualità più o meno nascosta di Cruise ed alla conferma della fama di “rovinafamiglie” della Cruz, che in questo caso, a nostro parere, avrebbe liberato la ben più talentuosa Nicole Kidman
dall’imbarazzante presenza di un marito necessario soltanto al primo salto di notorietà, effettivamente non rimane nulla che possa giustificare il prezzo del biglietto per la visione di questo insieme di immagini in movimento, tecnicamente definibile con la parola “film”, ma che della parola non possiede la dignità.
Posta la pochezza della sceneggiatura, l’infantilismo della regia e l’appiattimento musicale di una colonna sonora che sembra pescata a caso in una collezione di CD, non resta che consolarsi con l’interpretazione di qualche attore di carattere; ebbene, in questo caso neppure questa consolazione giunge a confortare lo spettatore. Tom Cruise recita il suo solito ruolo da duro problematico, bisognoso di un buon analista, bastardo con le donne e innamorato dei soldi: certo, lo sa far bene, ma fa solo quello, e si vede. Penelope Cruz, guarda caso, fa la rovinafamiglie, ruolo che si porta appresso anche nella vita reale fin da prima di conoscere Cruise e la Kidman, e quindi non offre niente di nuovo né di particolarmente efficace dal punto di vista della recitazione. Cameron Diaz merita un discorso a parte; la sua arte, e stiamo parlando di interpretazioni che lasciano il segno quali le sue performance in “Ogni maledetta domenica” o “Quello che so di lei”, semplicemente non c’è. Quasi si fosse anch’essa resa conto che la sceneggiatura e la direzione della pellicola non meritano il suo vero volto d’attrice, la Diaz si affloscia, si piega su se stessa concedendo un minimo di interpretazione ad un personaggio che le va stretto, l’indispensabile a non farlo naufragare, concedendoci solo qualche sprazzo di mestiere nelle espressioni del viso, negli atteggiamenti da gatta che sa esprimere con la partecipazione di tutto il suo corpo. Nulla, ma proprio nulla fa sì che questa pellicola possa essere annoverata non solo nella Storia del cinema, ma neppure nei dizionari che per forza di cose devono contenere tutto, il bello ed il brutto; un film dimenticabile da dimenticare.
Sergio Acerbi
Recensione n.3
Un regista garbato, spiritoso e musicale come Cameron Crowe tenta di cambiare registro, di uscire dai suoi schemi – e fallisce miseramente. La storia è puro Philip K.Dick e ricorda vari film degli ultimi anni, dal 13° Piano a Fight Club a Matrix – fino al vecchio Operazione Diabolica (1966) di John Frankenheimer, con Rock Hudson: la cosa non mi dispiacerebbe affatto se fosse stata fatta meglio. Mi piacciono le storie complicate, se alla fine c’è una soluzione: qui la soluzione c’è (non è Strade Perdute, almeno) ma a quel punto non ce ne frega più niente. Annoiandosi lungo tutto Vanilla Sky si sente che sotto le immagini patinate, i dialoghi spesso assurdi, le sorprese che arrivano con meccanica regolarità, c’è potenzialmente un bel film. Sappiamo che esiste un originale di Alejandro Amenabar che vorrei tanto vedere – ma anche se non ci fosse penseremmo che la stessa storia in altre mani sarebbe più interessante. Una quantità di idee interessanti sono sprecate in nome di un’eleganza insipida ed anche il fatto che Cruise reciti metà film con la faccia distrutta non rende la cosa più drammatica.
Fra l’altro il film di Amenabar durava 1h 40′ contro le quasi 2h 30′ di questo remake.
Particolarmente irritante la colonna sonora: non che sia brutta, anzi, il CD (o come faceva notare il buon C.Meraviglia, il cofanetto dei 6 CD) sarebbe pure da comprare. Ma i vari pezzi scattavano con regolarità metronomica ad ogni cambio di scena e quasi tutti iniziano acustici per poi far partire la batteria o la chitarra elettrica e dopo una mezz’oretta ad ogni nuovo pezzo ti scappava da ridere. Crowe aveva iniziato la carriera come giornalista di Rolling Stone (vedi il pregevole Almost Famous) e purtroppo la cosa si sente: c’è il dubbio che ne approfitti per farci sentire un po’ di ‘vera musica’ – tanta. Che ci voglia o no. Ad un certo punto Good Vibrations è usata in maniera che vorrebbe essere ironica ma che, a quel punto verso la fine, risulta solo ridicola. Crowe deve avere un mucchio di amici a Hollywood,. pare sia una persona simpatica: nella scena della festa ci sono Steven Spielberg e parecchi altri hollywoodiani. Cruise ci da dentro; la Cruz e la Diaz sono belle; Jason Lee migliora ad ogni film (a lui vengono affidate le due uniche battute spiritose del film) – ma non ci siamo.
Stefano Trucco