Recensione n.1

Una ragazza di umile estrazione, sposa un nobile decaduto ma riuscirà lo stesso a farsi largo nella società, appoggiandosi a uomini ricchi e potenti.
E’ questo il plot di Vanity Fair, un idea semplice e già vista che ha saputo godere di una nuova vitalità grazie alla regia di Mira Nair, indiana molto british che sa portare sullo schermo il meglio delle due culture e che nel caso della Fiera delle Vanità ha saputo ricreare un atmosfera davvero stile Bollywood.
Un India presente nella pellicola ,soprattutto, attraverso la modalità di narrazione che predilige il canto e il ballo come strumenti, appunto, di racconto della storia di Becky che grazie alla sua determinazione e ambizione saprà spingersi oltre i confini dell’Inghilterra di fine ‘800.
A fianco di Reese Witherspoon, una attrice che sempre più si sta affermando con forza nel cinema internazionale, un cast davvero notevole composto da Gabriel Byrne, Rhys Ifans e Jonathan Rhys-Meyers.
Una pellicola indianeggiante che risponde a molte delle aspettative del mercato attuale ma che nel compenso non lascia delusi. Da vedere anche solo per sognare un viaggio nel paese del Buddha.

Valentina Castellani

Recensione n.2

“IL MONDO È FATTO A SCALE”
La regista Mira Nair, Leone d’Oro a Venezia nel 2001 con “Monsoon Wedding”, conferisce al romanzo di William Makepeace Thackeray un’inaspettata freschezza. Sarà perché il tema dell’arrampicatrice sociale, pardon “scalatrice” (come sottolineato in una battuta del film), è sempre attuale (a quando una versione trash aggiornata ai tempi ambientata tra veline e calciatori?), ma anche per l’abilità della regista indiana nel destreggiarsi tra i complessi eventi della narrazione, evitando uno stile lezioso che in altre mani avrebbe potuto affievolire la vitalità del racconto. Gran parte del merito è però della sceneggiatura a tre di Matthew Faulk, Mark Skeet e Julian Fellowes (giustamente premiato con l’Oscar per lo splendido copione di “Gosford Park”), capace di muoversi in un mondo dove gli unici elementi importanti sono il lignaggio e la pecunia ed efficace nel mantenere sempre alta l’attenzione sui personaggi, dosando con arguzia colpi di scena e battute salaci e non tralasciando gli eventi storici, che in più di un’occasione modificano il destino dei personaggi. La forza dello script è nel non rivelare tutto subito, creando una sorta di apnea narrativa in cui i fatti accadono fuori scena e vengono esplicitati nelle conseguenze che determinano. Riuscita anche la non facile caratterizzazione della protagonista: cinica calcolatrice o ragazza solare e affascinante dalla vivacità contagiosa? Il film non la giudica e la mostra nelle sue molteplici sfaccettature, grazie a un’ironia che evita noiosi e poco attendibili sensi unici. Perfetto il cast, dai comprimari di lusso (Bob Hoskins, Jim Broadbent, Gabriel Byrne) alla luminosa Reese Whiterspoon, vera e propria diva in America, un volto tra i tanti da noi (i due “Legally Blond” in Italia non hanno comprensibilmente sfondato) e icona dell’arrivismo senza scrupoli fin dai tempi del sottovalutato “Election” di Alexander Payne. VOTO: 7

Luca Baroncini de Gli Spietati