Con “Tornando a casa” Vincenzo Marra raccontava una storia toccante e originale di pescatori ed emigranti clandestini. Con “Vento di terra”, ambientato a Napoli, affronta con spirito sincero, ma troppi luoghi comuni, il genere “Sud degradato senza speranza”. Nel film e’ concentrato tutto il peggio che possa capitare: lo sfratto, la disoccupazione, il tentato suicidio, le molestie sessuali, la malattia, la disperazione, la solitudine. Purtroppo il copione affianca i fatti con tale meccanicita’ da renderli prevedibili. Inevitabile che l’importante critica sociale sottesa al lungometraggio ne risenta, provocando una contro-reazione di impermeabilita’. Ed e’ un peccato, perche’ ormai in tanti hanno dimenticato i danni dell’uranio impoverito presente in Kossovo, ma la sceneggiatura non supporta a sufficienza la tesi del film. In questo senso Marra fa un passo indietro rispetto alla riuscita opera di debutto e pur dimostrando di saper governare la macchina cinema (la descrizione della vita militare e’ molto realistica), anche attraverso la scelta di interpreti adeguati e ben diretti (il giovane Vincenzo Pacilli e’ molto espressivo), lascia che la rabbia prevalga sull’equilibrio del racconto. Sono troppi i film italiani che limitano la denuncia a una successione di disgrazie con finale greve. Il rischio di una sovraesposizione poco problematica del degrado e’ l’assuefazione. E il film di Marra lancia schegge di provocazione (sempre le solite) ma non approfondisce granche’.

Luca Baroncini (da www.spietati.it)