Scheda film

Regia: Sergio Castellitto
Soggetto: dal romanzo omonimo di Margaret Mazzantini
Sceneggiatura: Sergio Castellitto, Margaret Mazzantini
Fotografia: Gianfilippo Corticelli
Montaggio: Patrizio Marone
Scenografie: Francesco Frigeri
Costumi: Sonoo Mishra
Musiche: Eduardo Cruz
Italia/Spagna/Croazia, 2012 – Drammatico – Durata: 127′
Cast: Emile Hirsch, Penélope Cruz, Mira Furlan, Jane Birkin, Saadet Aksoy, Sergio Castellitto, Branko Djuric
Uscita: 8 novembre 2012
Distribuzione: Medusa

 I lucchetti di carne

A distanza di quasi due decenni, Gemma torna a Sarajevo accompagnata dal figlio Pietro perché invitata a una mostra fotografica sulla guerra del ’92-’95: tra le opere esposte ci sono anche scatti di Guido, il fotografo americano che anni prima aveva conosciuto in Bosnia e per il cui amore aveva rivoluzionato tutta la sua vita. La loro era stata una passione travolgente ma il sogno di creare una famiglia felice era stato incrinato dall’infertilità di lei e dalla progressiva ossessione per quella maternità impossibile da ottenere: per questo Gemma aveva accettato che suo marito concepisse il loro figlio con un’altra donna, ma da allora nulla sarebbe stato più come prima. Ad accoglierli in una Bosnia ricostruita ma ancora sfregiata c’è Gojko, l’uomo che aveva accompagnato Gemma anche nel suo primissimo viaggio a Sarajevo: per tutti sarà l’inizio di un lungo viaggio alla (ri)scoperta di sé e del proprio passato.
Castellitto racconta la guerra: la guerra che sconvolse Sarajevo con un estenuante assedio di tre anni, la guerra di chi combatté furiosamente per la sopravvivenza, la guerra di chi decise di documentare e dare voce ai tanti civili rimasti coinvolti in quel conflitto che agli inizi degli anni ’90 riaccese drammatici riflettori nel cuore dell’Europa. Ma racconta anche e soprattutto la guerra di una donna italiana – apparentemente estranea alle vicende della Bosnia eppure indissolubilmente legata a quella terra – impegnata in una lotta contro tutto e tutti per ottenere quella maternità che tanto desidera e che invece la natura, i servizi sociali e il destino sembrerebbero volerle precludere.
La maternità, la fratellanza e la solidarietà, l’amore: Venuto al mondo, tratto dall’omonimo romanzo di Margaret Mazzantini, è un viaggio all’insegna dei sentimenti, un’inesorabile discesa nel territorio dell’emotività attraverso i volti e le storie dei molti personaggi che circondano la protagonista nel suo lento e struggente confronto con i ricordi, da quelli del suo grande amore sfumato a quelli della traumatica realtà dell’assedio di Sarajevo.
Progetto ambiziosissimo, data la mole davvero consistente di potenziali spunti ricavabili dalla vicenda raccontata e dalla possibilità di confrontarsi con una serie di sovrastrutture e linee narrative secondarie, il film attraverso le tante declinazioni dell’amore si concentra su una riflessione esistenzialista sul senso della vita e sul destino: forse però è proprio la grande densità del romanzo a tradire Venuto al mondo che non sembra riuscire ad affrontare i tanti temi della storia con asciuttezza e lucidità. L’ipertrofia parrebbe il difetto più invalidante dell’ultimo lavoro di Sergio Castellitto, che si arrotola in dialoghi troppo opprimenti e didascalici, che esaspera le situazioni e le reazioni in scena trasformando la naturale alternanza di toni e colori della storia in una costante escalation di tensione esacerbante: a dispetto però di quanto sarebbe stato auspicabile, non è la drammaticità della storia a rendere così stordente il risultato finale quanto la sua resa formale, certamente impregnata di teatralità ma non così efficace nel gestire la struttura generale del film, ben presto destinato a impantanarsi nella verbosità.
La guerra e le sue tragedie rimangono sullo sfondo a fare da palcoscenico al dramma personale di Gemma, una donna che sogna di stringere fra le braccia quel “lucchetto di carne” che la possa legare indissolubilmente all’uomo che ama ma che non sa che sarà proprio l’inseguimento di questo ardentissimo desiderio a innescare un meccanismo di autodistruzione della coppia e non solo: così mentre Sarajevo sotto assedio stuprata dalle bombe e dai colpi di mortaio si riduce in un cumulo di macerie, anche Gemma vede progressivamente sbriciolare le proprie aspettative e speranze. C’è un grido di dolore lancinante alla base del film che però non sembra riuscire a creare un legame davvero empatico con i suoi personaggi, troppo spesso incasellati in una scacchiera dai ruoli predefiniti e monodimensionali (ne è un esempio palese Guido – interpretato da un Emile Hirsch non sempre all’altezza delle sue possibilità – che irrompe in scena con un’esuberanza e una spumeggiante impetuosità alla lunga estenuante e che recupera credibilità e sensibilità solo negli ultimi minuti): peccato, anche perché Castellitto aveva a disposizione un cast di tutto rispetto – capitanato da una brava e intensa Penélope Cruz, ma dove spiccano anche Saadet Aksoy e Adnan Haskovic – che in ogni caso si dimostra efficace nel tratteggiare i traumi e le cicatrici che costellano le vite dei protagonisti.
Riscoprire il passato, riviverne le tragedie per trovare lo slancio per affrontare con determinazione il presente e il futuro: sembra essere questo il messaggio di Venuto al mondo, esemplificato dalla figura di Pietro, quel figlio tanto voluto da Gemma, che per la prima volta si confronta con la città dove è nato ma che nulla sembrerebbe avere a che fare con lui che è cresciuto in Italia in una famiglia italiana, con quell’indicazione quasi “stonata” sulla carta d’identità (“Quando mi chiedono perché sono nato a Sarajevo rispondo ‘Per sbaglio’” confesserà).
La guerra sgretola i sogni e le aspettative, uccide le speranze ma riaccende ancestrali istinti di sopravvivenza e reciproco sostegno, in quell’eterno dialogo fra vita e morte: è sicuramente difficile tradurre sullo schermo una complessità di emozioni e sensazioni così ingombrante e totalizzante e a Castellitto va senz’altro il merito di essersi imbarcato in un’avventura professionale e umana indubbiamente complessa, purtroppo però il risultato del suo lavoro finisce per saturarsi con un pizzico eccessivo di retorica e di marcata propensione per i toni del melodramma che invece di esaltare le caratteristiche della storia finiscono per smussarne le spigolosità.

Voto: * *¼

Priscilla Caporro