Chissà perché i film d’azione, soprattutto americani, accostano incredibili prodigi tecnici, con riprese sofisticate e dalla resa mozzafiato, a una narrazione così grossolana da risultare involontariamente comica. E’ quello che succede anche in “Vertical limit”, dove i virtuosistici movimenti di macchina non sono supportati da personaggi credibili e dialoghi accettabili. Si comincia bene, con un prologo dal forte impatto, anche emotivo, poi il solito trauma da risolvere prende il sopravvento, si costruisce a fatica un cattivo (bene e male devono essere ben riconoscibili, per carità!) e si forma il solito gruppo eterogeneo e mal assemblato con il solo scopo di avere carne da macello da sacrificare nelle sequenze d’azione. Non a caso le vittime sono i personaggi meno glamour e più rompicoglioni. Più di una volta si spera in un virus d’alta quota che renda i personaggi muti e la parte centrale e’ appesantita da una serie di dialoghi banali e monotoni che nulla aggiungono e molto tolgono.

Gli sviluppi legati alla nitrolicerina poi (che, tra l’altro, diventa sensibile al sole SOLO dopo che i personaggi lo dicono), sono i più risibili. In fondo si tratta di un giocattolone divertente e senza pretese, ma anche la pura evasione ha bisogno di una causa scatenante e di un punto d’arrivo. Altrimenti il rischio e’, come in questo caso, di spingere lo spettatore a invocare una bella valanga che faccia in fretta piazza pulita di tutte queste trite macchiette e becere situazioni. Una scappatoia potrebbe essere l’ironia, ma i personaggi si prendono sul serio con grevità assoluta e la sceneggiatura non risparmia alcun tassello disseminato, a favore di una circolarità tanto risolutiva quanto opaca nel far tornare i conti. Si esce quindi con un occhio aperto ed uno chiuso e la sensazione e’ di un’occasione sprecata. E’ per forza necessario che in un film dove prevale l’azione, il lato umano (dei personaggi e dello spettatore)sia così snobbato?

Luca Baroncini de “Gli Spietati”