Scheda film

Regia, Soggetto e Sceneggiatura: David Cronenberg
Fotografia: Mark Irwin
Montaggio: Ronald Sanders
Scenografie: Angelo Stea
Costumi: Delphine White
Musiche: Howard Shore
Canada, 1983 – Horror/Fantascienza – Durata: 87′
Cast: James Woods, Deborah Harry, Sonja Smits, Peter Dvorsky, Leslie Carlson, Jack Creley, Lynne Gorman
Uscita: 1983
Distribuzione: Taurus Cinematografica

Videodrome è un film seminale, affascinante nella sua raffazoneria, è da qua che Cronemberg lancia il suo percorso originale per cui ad una realtà più ampia e virtuale deve corrispondere una nuova carne, preciserei io un nuovo ricettore di neuroni, non c’è più confine tra sogno e realtà come non ce più demarcazione tra reale e virtuale, Videodrome è antesignano di quella maniera di trattare la materia filmica che caratterizzerà in parte il decennio successivo, non solo al cinema, ma anche in pubblicità, nel videoclip e addirittura in alcune sperimentazioni TV. Il testo si nega e nega la possibilità di distinguere il piano della realtà da quello dell’ allucinazione. Il tema è evidentemente la televisione, l’ipnotizzatore che comporta l’esposizione catodica e la proprietà manipolatrice del mezzo.
Videodrome è la trasmissione di un segnale, uno dei tanti segnali televisivi socialmente pericolosi e non una funzione del medium, non un messaggio, ma un input subliminale indipendente da una rappresentazione, il cui scopo non è mostrare ma incidere direttamente sul sistema nervoso. La visione viene così ingollata dal corpo attraverso una metamorfosi fisica e lo spettacolo abolito. Questo sistema d’informazione perde così i suoi referenti nel mondo reale. Il reale viene distrutto e ricostituito in un iperreale che è reale in quanto fatto fisico, tangibile, materiale, ma che ha perso ogni legame con il vecchio mondo da cui prende forma. Il corpo continua in qualche modo ad esistere, ma androide, fuso nella macchina, una sintesi biomeccanica, “una video-parola fatta carne”. Non c’è più un individuo che fruisce una tecnologia, la acquisisce materialmente, dentro di sé, protesizzandosi, mutando in una nuova forma, in “nuova carne”. Il vecchio corpo esiste solo nell’iperrealtà del corpo monitorizzato. Il primo personaggio che ci viene presentato, la segretaria, è un’immagine video preregistrata, appartenente ad un altro tempo e ad un altro spazio. La prima apparizione di Nikki Brand è tradotta da uno schermo, e così apparirà per tutta la seconda parte del film. Brian O’Blivion, come ce ne dà notizia già il nome, esiste solo nel ricordo impresso sul nastro magnetico, il suo non-essere/neo-essere si confonde abilmente con l’essere “normale”, biologico, senza che nessuno ci faccia caso. Max Renn va a penetrare l’enorme bocca di Nikki, che uno schermo vivo e sensuale ospita avidamente, e colma l’antica assenza, affondando in quella mammella negata e ritrovata, che l’essere tecnologico gli offre. Durante la sua performance sado-maso al Videodrome Show frusterà il simulacro, lo schermo in cui come in un peep-show appaiono due delle tre divinità femminili che formano l’antica triade di madre-moglie-figlia, Marsha e Nikki. Quello che viene presentato è un universo fatto di forme in trasformazione, in cui i concetti di presenza e spazialità assumono accezioni nuove. I referenti fuori dallo schermo video scompaiono inesorabilmente, inglobati nello spazio del nuovo mondo e Max Renn vive questo processo di destrutturazione e ristrutturazione del reale direttamente sul suo corpo trasformandosi in un videoregistratore umano finalmente capace di leggere la nuova realtà ed essere programmato per essa. Alla evoluzione corporea dei personaggi corrisponde quella degli oggetti della tecnologia: televisori e videocassette si umanizzano, vivono, respirano e trasmettono la loro sensualità.
Nel momento in cui perde il suo carattere di referente, il reale non viene però perso, esso subisce uno spostamento epistemologico radicale in congruenza del quale viene trasformato in nuova forma. Questa trasformazione viene espressa dalle attività della Spectacular Optical, dall’ambizione fascista di ripulire l’America e controllarne l’intera organizzazione sociale attraverso il dominio del mercato audiovisivo. E’ attraverso il casco fornito da questi cospiratori che la visione di Max si fa più implosiva, carnale, viscerale, il suo corpo diventa il luogo delle percezioni interne e, simultaneamente, delle manifestazioni esterne. A questo punto del film si giunge ad un nuovo regime visivo in cui ciò che Max esperisce non è più riconoscibile, ogni tentativo di scindere la realtà dell’allucinazione dalla realtà effettiva risulta vano, i punti di vista sono sempre più frammentati e le scene che si susseguono assomigliano sempre più a scatole cinesi, fino alla reiterazione potenzialmente infinita della sequenza finale. Da questo momento in poi non si esce più dal piano dell’allucinazione, le immagini indotte dal casco si inseriscono nella consecutio temporale “normale” provocando una continua mis en abime dello spettatore. Max Renn è ormai completamente in balia degli eventi, il suo condizionamento coincide con il suo desiderio di non essere più indipendente dalla tecnologia. Ridotto a videoregistratore umano, riceve Videodrome dentro di sé attraverso l’orefizio vaginale apertosi nel ventre, si lascia programmare, deprogrammare e riprogrammare, diventa una biosintesi, una “video-parola fatta carne”, per proclamare infine “morte a Videodrome, gloria e vita alla nuova carne” nel catartico suicidio conclusivo di cui non sappiamo se ne sia attante o eterno spettatore. Evidentemente il suo post-modernismo risiede anche altrove: nel pastiche dei generi a cui fa riferimento. E’ infatti possibile una lettura economica, politica, sessuale, morale del testo, una sua affiliazione al film horror e splatter, un’identificazione con la detective story, per non parlare del legame estetico con tutta l’arte spazzatura, in particolare la pornografia e lo snuff movie.

Zero Cool (da IAC)