Scheda film
Regia: Ferdinando Vicentini Orgnani
Soggetto: Liberamente ispirato al romanzo di Fabio Marcotto “Vino Dentro”
Sceneggiatura: Ferdinando Vicentini Orgnani, Heidrun Schleef
Fotografia: Dante Spinotti
Montaggio: Alessandro Heffler
Scenografia: Massimo Santomarco
Costumi: Alessandro Lai
Musiche: Paolo Fresu
Italia, 2013 – Black-Comedy/Noir – Durata: 86’
Cast: Vincenzo Amato, Giovanna Mezzogiorno, Lambert Wilson, Pietro Sermonti, Daniela Virgilio
Uscita: 11 settembre 2014
Distribuzione: Nomad Film Distribution
Sale: 24
Tutta colpa di Bacco
“In vino veritas” è proprio il caso di dire ripensando all’ultima fatica dietro la macchina da presa di Ferdinando Vicentini Orgnani, la terza per la precisione sulla lunga distanza cinematografica dopo gli altalenanti Mare largo (1998) e Ilaria Alpi – Il più crudele dei giorni (2003), ossia Vinodentro, presentata in concorso al Courmayeur Noir in Festival 2013 e nelle sale a partire dall’11 settembre con Nomad.
Il regista e sceneggiatore cambia in maniera drastica genere e registro rispetto a quelli che hanno caratterizzato i lavori precedenti, passando dai toni drammatici a quelli della black comedy in odore di noir, ma le virate non cambiano le sorti del suo cinema, al contrario lo mettono ancora di più in discussione, rivelandone le fragilità, le insicurezze e le discontinuità strutturali, soprattutto in termini di scrittura. Appoggiandosi ancora una volta alla letteratura come già accaduto con l’opera prima (da “Attesa sul mare” di Francesco Biamonti) e seconda (“L’esecuzione” di Giorgio e Luciana Alpi, Mariangela Gitta Grainer e Maurizio Torrealta), Orgnani finisce con il perdere ancora la bussola, poiché incapace di gestire l’ellittica struttura temporale a incastri e rimandi con la quale costruisce la traballante architettura drammaturgica sulla quale pesa l’intero racconto, quello del Faust di turno, tale Giovanni Cuttin, che in seguito all’assaggio di un bicchiere di Marzemino (vino tipico e pregiato della provincia di Trento, citato da Lorenzo Da Ponte nel suo libretto per il Don Giovanni di Mozart) offertogli da un misterioso straniero, nel giro di soli tre anni da timido impiegato di banca e marito fedele diventa direttore, tombeur de femmes e il più riverito e stimato esperto di vino in Italia.
L’intreccio narrativo circolare legato costantemente al gioco della memoria e alla doppia lettura della realtà, appartiene alla più classica delle strutture mistery, con tanto di protagonista che viene messo sotto torchio durante un interrogatorio dall’immancabile commissario. Se a questo aggiungiamo il celebre riferimento letterario, allora il tutto non può che diventare ben presto prevedibile, compresi i più che telefonati colpi di scena che, invece di innalzare il livello, finiscono con l’abbassare la già flebile suspense di un film stinto, spento, rarissimamente divertente, di scolastico passo televisivo e ridondante ricerca formale, che nemmeno i contributi in fase di scrittura di Heidrun Schleef, della fotografia firmata dal due volte candidato all’Oscar Dante Spinotti e della partecipazione di Giovanna Mezzogiorno nel ruolo di Adele (Orgnani l’aveva diretta con ben altri esiti in Ilaria Alpi – Il più crudele dei giorni), riescono a tamponare.
Il risultato è una parabola faustiana di goethiana memoria che trascina sul grande schermo l’ennesimo perfetto sconosciuto che diventa qualcuno solo dopo aver venduto consapevolmente o inconsapevolmente se stesso al Mefistofele della situazione, entrando in quella galleria di personaggi che comprende i protagonisti de L’avvocato del diavolo, Margherita della notte e L’oro del demonio. Di interessante, ma non originale, ci sono la dimensione enogastronomica che si fa tramite per raccontare altre storie sovrapposte l’una all’altra (il potere, il successo, la morte, il tradimento, la gola e la lussuria), unita al tentativo parzialmente riuscito di trasferire il mito di Faust ai giorni nostri, fortunatamente senza scivolare in quel qualunquismo becero che ha trascinato nella mediocrità tentativi maldestri come Le braghe del padrone e Operazione diabolica. Ma ciò non è sufficiente a fermare l’emorragia causata dalle numerose ferite inflitte al film dal suo stesso autore.
RARO perché… è una parabola nota ma non riuscita.
Voto: 4 e ½
Francesco Del Grosso