Scheda film

Regia: Ang Lee
Soggetto: dal romanzo di Yann Martel
Sceneggiatura: David Magee
Fotografia: Claudio Miranda
Montaggio: Tim Squyres
Scenografie: David Gropman
Costumi: Arjun Bhasin
Musiche: Mychael Danna
USA, 2012 – Avventura – Durata: —
Cast: Suraj Sharma, Irrfan Khan, Adil Hussain, Rafe Spall, Gérard Depardieu, Tabu, Shravanthi Sainath
Uscita: 20 dicembre 2012
Distribuzione: 20th Century Fox

 Le mie mezze verità

Era il 1992 quando Ang Lee con Pushing Hands firmò il suo esordio alla regia. Da allora, con vent’anni di onorata carriera alle spalle e dodici film all’attivo che gli sono valsi una serie di importantissimi riconoscimenti tra cui due Oscar (alla migliore regia per I segreti di Brokeback Mountain e come miglior film straniero per La Tigre e il Dragone), due Orsi d’Oro (per Il banchetto di nozze e Ragione e sentimento) e due Leoni d’Oro (I segreti di Brokeback Mountain e Lussuria – Seduzione e tradimento), il regista taiwanese ha da sempre cercato – riuscendoci – di rinnovare, alimentare e variare il suo modo di fare e concepire la Settima Arte, spaziando tra generi diversi (dal cine-comics al dramma, dal wuxia pian al melò e alla commedia) e approcci produttivi diametralmente opposti. Questo gli ha consentito di non ripertersi mai, di non replicare una formula piuttosto che un’altra solo perché risultata vincente. Allo stesso modo, lo stile, il suo modo di comporre il quadro e di imprimere fotogrammi, si sono camaleonticamente plasmati, forgiati e messi al servizio del genere affrontato, del budget a disposizione e soprattutto della storia da raccontare. In tal senso, mentre il suo cinema tecnicamente continua a maturare o a cambiare pelle a seconda delle esigenze, qualcosa a livello tematico, al contrario, affonda sempre di più le radici nella pellicola, film dopo film. Quel qualcosa è la crisi d’identità e con essa l’estraniazione, il sentirsi metaforicamente sempre straniero in terra straniera; un tema che proprio perché ricorrente permette di individuare nella filmografia di Ang Lee una sorta di filo rosso che avvicina l’ex-maestro di Tai chi visto in Pushing Hands che va a vivere a New York con la famiglia del figlio a Piscine Molitor Patel, il protagonista di Vita di Pi.
Non nuovo a trasposizioni di opere letterarie (Ragione e sentimento da Jane Austen, Cavalcando col diavolo da Daniel Woodrell, Tempesta di ghiaccio da Rick Moody, I segreti di Brokeback Mountain da E. Annie Proulx, La tigre e il dragone da Wang Du Lu e Motel Woodstock da Elliot Tiber), per la sua ultima fatica dietro la macchina da presa Lee si affida all’omonimo romanzo di Yann Martel, “Life of Pi”, pubblicato nel 2001 e vincitore del prestigioso Booker Prize l’anno seguente. Come in passato, anche nelle pagine firmate dallo scrittore canadese, il regista rintraccia la tematica a lui cara facendola sua in tutto e per tutto. Per questo ogni opera che si trova a dirigere appare allo spettatore come qualcosa di personale, nonostante lo stile non sia mai lo stesso e la genesi narrativa sia il frutto di storie pre-esistenti. Il romanzo di Martel lo ha messo nelle condizioni di poterlo fare, di cercare nell’incredibile odissea di Pi, diciottenne indiano naufrago nell’Oceano Pacifico per 227 giorni dopo essere scampato a una tremenda tempesta che si è portata via la famiglia e la nave sulla quale viaggiavano, l’essenza di un romanzo di formazione che parla della ricerca di identità. Prima e durante la sciagura marittima continuerà a interrogarsi, a cercare risposte in sé e negli altri, non necessariamente di natura terrena ma anche spirituale, in particolar modo quando in età precoce inizierà ad esplorare i problemi della religione per cercare qualcosa in cui credere veramente. Quale migliore o peggiore delle occasioni – a seconda del punto di vista – per comprendere fino in fondo chi siamo se non confrontarsi faccia a faccia con la natura e con un’entità ultraterrena alla ricerca di noi stessi? Il protagonista della vicenda è costretto a condividere una scialuppa di salvataggio con una tigre Bengala, tra maremoti e allucinazioni, mancanza di cibo e attacchi di squali, prima di poter dire di aver trovato ciò che inseguiva da tempo.
A distanza di anni, oramai da adulto vivo e vegeto, Pi racconterà quell’incredibile avventura a un perfetto sconosciuto, uno scrittore in cerca proprio di una storia incredibile per il suo nuovo libro (lo stesso Martel interpretato da Rafe Spall), in un palleggio tra presente e passato sulla quale si va a comporre lo scheletro drammaturgico del film. Si tratta di una struttura basilare, che di precedenti ne ha moltissimi, ma che in questo caso permette ad Ang Lee di tradurre in immagini e suoni le componenti fantasmagoriche di un testo che nel dna originale presenta un magma di parole, descrizioni e riflessioni, al quale dare una messa in scena è compito decisamente arduo. Per questo, al di là che il film piaccia oppure no, un merito va senza alcun dubbio riconosciuto al regista, ossia quello di essere riuscito a dare una vita cinematografica al suddetto magma. Lee ha catturato l’anima del libro, andando oltre il più superficiale dei survivor movie, riducendo ad esempio una sequenza di sicuro impatto come quella del naufragio a poco più che una parentesi per giustificare quantomeno la scelta del 3D (degna di nota anche quella con i pesci volanti).
Ciò che possiamo ammirare sul grande schermo a partire dal 20 dicembre è a conti fatti un’opera che unisce esigenze spettacolari alla poesia di un racconto intimo e intimista, in equilibrio perenne tra ciò che è reale e ciò che non lo è, tra la dura realtà che ci circonda e il potere dell’immaginazione, tra gioie e dolori, sorrisi e lacrime, tra verità e mezze verità.

Voto: * * *½

Francesco Del Grosso

Alcuni materiali del film:

Clip – I would have died by now

Impossible Journey

Another Dimension

UK Premiere

Creating Richard Parker

Clip – The Tiger

Clip – Alone with a tiger

Clip – Flying Fish

Live Stream della conferenza stampa di Vita di Pi al New York Film Festival

Trailer italiano ufficiale

Sito ufficiale