Scheda film
Titolo originale: Inherent vice
Regia e Sceneggiatura: Paul Thomas Anderson
Soggetto: dal romanzo di Thomas Pynchon
Fotografia: Robert Elswit
Montaggio: Leslie Jones
Scenografie: David Crank
Costumi: Mark Bridges
Musiche: John Greenwood
Suono: John Pritchett
USA, 2014 – Noir – Durata: 148′
Cast: Joaquin Phoenix, Josh Brolin, Owen Wilson, Joanna Newsom, Katherine Waterston, Jordan Christian Hearn, Taylor Bonin
Uscita: 26 febbraio 2015
Distribuzione: Warner Bros Pictures
Indagine in… fumo!
Gordita Beach, California, 1970. Il detective privato Larry “Doc” Sportello (Joaquin Phoenix), con un debole per l’erba ed altre sostanze stupefacenti, si vede chiedere aiuto dalla sua ex, Shasta Fay Hepworth (Katherine Waterston), poiché il suo attuale uomo, il ricco agente immobiliare Michael Z. Wolfmann (Eric Roberts), sposato, sembra scomparso nel nulla. Accettando l’incarico in nome dei sentimenti che ancora prova per la ragazza, Doc è condotto dalle prime indagini in un curioso bordello travestito da centro massaggi. Lì però viene tramortito da un colpo di mazza da baseball e si risveglia accanto al cadavere di una delle guardie del corpo di Wolfmann. Messo sotto torchio dall’odioso poliziotto Christian F. Bjornsen (Josh Brolin), detto Bigfoot, viene salvato dall’avvocato Sauncho Smilax (Benicio Del Toro) accorso in suo aiuto. Una volta rilasciato, Sportello viene contattato dalla tossicomane Hope Harlingen (Jena Malone), la quale gli chiede di rintracciare il marito Coy (Owen Wilson). Mentre il mistero si infittisce, anche Shasta scompare…
Sarà per l’ambientazione nei gloriosi anni settanta, ma Paul Thomas Anderson sembra ritrovare qui l’ispirazione di uno dei suoi film migliori, quel Boogie Nights che lo fece conoscere al mondo con le sue folli storie di sesso, droga & rock’n’roll. Sesso, droga & rock’n’roll che tornano anche qui, in questo lungo noir tipico ed atipico allo stesso tempo. Vizio di forma, tratto dall’omonimo romanzo di Thomas Pynchon, autore dichiaratamente “infilmabile” che ha comunque impartito al progetto la sua benedizione, inizia come una di quelle pellicole anni quaranta, con la voce fuori campo – qui dell’amica Sortilège – e la bella di turno che va a postulare l’aiuto dell’eroe altrettanto di turno. Proprio come ne Il mistero del falco, ma poi il genio di Anderson si discosta dagli originali per l’ampia diffusione tra i protagonisti delle droghe, entrando in un irresistibile trip allucinato(rio). Così il noir si gonfia e si sgonfia ripetutamente, all’uscita di scena ed al rientro dei personaggi principali, fino a farsi inconsistente, in mezzo al caos raggiunto: tutto ritorna al suo posto, poiché probabilmente fuori posto non c’è mai stato o magari è stato solo un viaggio gentilmente offerto dagli allucinogeni. Ovvero: il mistero, l’inghippo, c’era pure, ma era un altro, filtrato dal reticolo distorto del primum movens che ha fatto scattare le indagini di Larry “Doc” Sportello.
In mezzo, un teatrino di personaggi assurdi già solo nei nomi (oltre ai citati: Dr. Rudy Blatnoyd, Japonica Fenway, Puck Beaverton, Adrian Prussia, Dr. Buddy Tubeside), nomi con i quali anche Anderson ama giocare, avendo scelto, non a caso, moltissimi attori che sono a loro volta parenti di altri, portandone spesso lo stesso cognome: il fratello del fu River Phoenix, quello di Luke Wilson, quello ancora di Julia Roberts, la sorella di Kristin Scott Thomas (Serena Scott Thomas), la figlia di Sam Waterston, il figlio di James Brolin, la figlia di Elaine May (Jeannie Berlin ), la moglie di Andy Samberg (Joanna Newsom) e, last but not least, la propria compagna (Maya Rudolph).
Un carosello così colorato, surreale, divertente ed ipnotico da sembrare diretto addirittura dall’altro Anderson, quel Wes autore di caleidoscopici marchingeni quali, ultimi, Moonrise Kingdom e Grand Budapest Hotel. Forse, come in diverse opere di quel Wes, la storia latita un po’, ma anche questo è programmatico, deciso a monte dal testo letterario di Pynchon, nella diligente reinterpretazione lisergica e psichedelica dei film di Sam Spade e Philip Marlowe, senza alcun apparente o reale vizio di forma.
Voto: 7 e ½
Paolo Dallimonti