Regia: Hiner Saleem
Durata: h 1.28
Nazionalità: Francia/Italia/Svizzera/Armenia 2003
Genere: drammatico
Interpreti: Romik Avinian, Lala Sarkissian, Rosanna Vite Mesropian, Yvan Franek, Armen Maroutnian

Film curdo vincitore come miglior film nella sezione Controcorrente a Venezia 2003.
L’Armenia, distese che si ricoprono di neve, immagini tristemente dipinte sullo schermo che abbacinano e rapiscono l’occhio dello spettatore. In Vodka Lemon tutto questo appare quasi come uno stratagemma, un sapiente avvolgimento di una storia che sfiora il documentario, dei suoi rivoli potenzialmente intensi, appena sbozzati, dei personaggi un po’ tipizzati. Hamò è un’anziano bruciato dalla fatica, chioma bianca e maltagliata che lo fonde aL paesaggio, distinguendolo dagli altri uomini che ogni giorno si reca nello spoglio cimitero vicino per andare a trovare la moglie morta. Durante il tragitto in autobus incontra una donna più giovane, costretta dalla miseria a non pagare il biglietto. Parallelamente: il figlio dell’uomo fa sposare sua figlia ad un tipo poco raccomandabile; un altro dal Canada manifesta i suoi guai finanziari all’anziano genitore, che è costretto a recarsi ogni giorno al mercato, a vendere un pezzo della propria memoria. Scene cicliche: Amò che si reca nell’ovattato, impietoso luogo da cui emergono, quasi violando la terra, le terribili sagome dei defunti, della donna contrita i cui tratti induriti e ricchi si affretta a sbrinare amorevolmente. L’incontro con la donna, un’altra storia difficile, e per metà taciuta, che va approfondendosi. I campi lunghi e la rituale composizione del suo interagire con altre figure: Amò che incontra, amaramente e comicamente, sempre le stesse persone interessate a comprare i suoi articoli, una famigliola in cui la terribile matriarca, forse un vero topos, riesce a contrattare a suo svantaggio i prezzi. Brutalità e ilarità, l’arcaica e fugace caduta a picco delle giornate tagliano la pellicola, che nel suo amore per le profondità visive lascia qualche stralcio di insoddisfazione per la volontaria, pervicace rinuncia agli psicologismi, forse aridi ma pur sempre ricettatore “occidentale”. E’la passeggiata in un mondo in cui tutto, tranne il sogno e gli accessi di follia (quello del figlio, che per problemi di denaro spara al neo-genero), sembra trascinarsi nell’immutabile, denso e appena scalfito da una modernità che appare, per contrasto, quasi grottesca e ridicola. Anche i sapori ricorrono: come quello di un liquore di successo in un chiosco che chiude i battenti (quello in cui la donna dell’autobus lavora), che “sa di mandorla”, ma si chiama Vodka Lemon.
L’ultima scena, gustosa, leggera, è forse però una citazione inavvertita (Lezioni di piano? La leggenda del pianista sull’Oceano?), in cui i due protagonisti, ora unica entità, si muovono su un carrello immaginario suonando un pezzo a quattro mani su un vecchio, sontuoso pianoforte. La leggiadra imponenza di un’oggetto ancora una volta sembra riscattare i corpi, le azioni umane, irrompendo estraniante e fantasioso nella ripetitività della natura.

Chiara F