Volver, tornare. Ed è veramente un gradito ritorno questo, cioè il nuovo film di Pedro Almodovar, che veramente non riesce a sbagliare un film. Certamente ci sono opere più riuscite ed altre meno, ma in ogni caso sempre di vero cinema si tratta.
E’ un legame particolare quello che mi lega al grande regista spagnolo, e ne ho trovato certa conferma quando in una conferenza a Venezia disse che la sua terra e il suo humus culturale gli ricorda molto da vicino la nostra Calabria, e, essendo io di questa regione, capii cos’era quel di più che io sentivo come vicino e quel fatto che tanti miei concittadini relativamente disinteressati alle “poetiche cinematografiche” considerassero molto “attigue” queste sue opere; si, un gusto di umanità, volti, espressioni, quotidianità a me familiari.
Madrid, oggi. Raimunda è una madre che si barcamena tra lavoro e una figlia adolescente avuta da giovanissima; ha un marito disoccupato e una sorella, Sole, timida e paurosa, che fa la parrucchiera in nero, nel suo appartamento.
Paula è la zia delle due donne che abita ne “La Mancha”, la loro regione di origine; un giorno successivo alla

loro visita, Augustina, un’amica vicina di casa, comunica a Raimunda che la zia è morta, ma la donna non può venire al funerale adducendo varie scuse, ma in realtà il motivo è che la figlia ha accidentalmente ucciso il padre che l’aveva molestata sessualmente.
Questo è solo l’inizio di una vicenda dove emergeranno altre verità e novità, dove i morti non sono morti nel modo in cui si pensava e i vivi non sono sempre vivi nel senso di “vitali”…e qualche volta i morti non sono tali, ma semplicemente scomparsi e riapparsi, e dove i figli non sono sempre il frutto dell’amore anche se l’amore non viene loro negato pur fra problemi e contraddizioni.
Stupendi volti, espressioni, problematiche e solidarietà femminili, tutte virate secondo il gusto di Almodovar, ma stemperate da alcuni eccessi talvolta fastidiosi di alcuni suoi film.
E’ un’opera che si fa amare nei più piccoli dettagli: nel piglio imprenditoriale di Raimunda che “rileva” un ristorante, negli aiuti delle vicine, nelle finestre di leggero umorismo….
Il regista iberico ci regala un bel quadro dell’altra metà del cielo e manda gli amanti del cinema in Paradiso.
A buon diritto fa parte di quella schiera di registi in cui perfino gli aspetti “omosex” diventano delle tematiche universali, nel senso che vi si può identificare anche una platea “etero”, e mi riferisco soprattutto ad alcune suo opere, come il penultimo “La Mala Educaciòn”
Cannes 2006 ha premiato la sceneggiatura e il gruppo di attrici, riconoscimenti adeguati e importanti, ma che forse stanno un po’ stretti. La miglior regia a Ken Loach con i suoi altrettanti bei “quadri virili”, e la miglior regia al messicano Inarritu.
Gino Pitaro             newfilm@interfree.it

C’era un tempo in cui Pedro Almodovar rappresentava uno sguardo obliquo sul mondo in grado di intercettare un sentire contemporaneo messo a tacere dalle convenzioni. Ogni suo film, anche i più sgangherati, trasudava vitalità e passione. Può sembrare uno slogan buttato lì superficialmente a posteriori, ma con le sue opere, e insieme ai suoi personaggi, “si piangeva e si rideva” per davvero. Con il passare degli anni il suo sguardo si è affinato, ma la spontaneità e il piglio ruspante hanno ceduto il passo alla cerebralità. Quasi come se il timore di dover soddisfare le aspettative di un pubblico sempre più ampio e di critici sempre più esigenti avesse in qualche modo imbrigliato la sua creatività. Sta di fatto che anche Volver, come le ultime, acclamate, opere (diciamo a partire da Tutto su mia madre) soffre di un manierismo narrativo in cui è il calcolo a dominare la scena e dove il tragico carosello di varia umanità passa senza lasciare particolare traccia. Le solite donne forti e volitive devono vedersela con uomini assenti o spregevoli, meritevoli al massimo di una poco più che comparsata. La famiglia è il luogo da cui tutto parte e a cui tutto ritorna. Non mancano inoltre alcuni topoi del regista spagnolo, come la solidarietà femminile, la prostituta dal cuore d’oro, la marijuana, la critica alla televisione, oltre agli omaggi (Penelope Cruz come Sophia Loren) e alle citazioni (Anna Magnani, icona di tutte le mamme, bravissima ma basta!!!). Il melodramma che ne viene fuori, pur nella consueta cura formale con cui Almodovar cerca il bello in ogni inquadratura, arriva perciò raggelato, incapace di scaldare i cuori nonostante tutto accada. Sembra più di assistere a un teatrino artefatto e ponderato al millesimo che al flusso casuale della vita. La scansione degli eventi si mantiene leggera, ma colpi di scena, omicidi, malattie e confessioni si succedono nell’indifferenza. La mancata (o eccessiva?) misura deriva da una sceneggiatura calibrata ma contratta e da una regia formalmente ineccepibile ma incapace di affrancarsi dalla razionalità. Le interpreti si danno con convinzione ma non sempre paiono adatte al ruolo: la Cruz è troppo sofisticata per il personaggio di Raimunda e Lola Duenas, utilizzata sottotono, spreca il potenziale comico in un’unica espressione di smarrimento. Si finisce così per non ridere e non piangere, ammaliati da un’atmosfera caliente e ineluttabile che promette senza però riuscire a trasformare il grottesco in sferzanti tracce di vita.
Luca Baroncini de gli spietati

Voto (da 1 a 5): *** ½

Pedro Almodóvar, ovvero l’unico regista in grado di raccontare piacevolmente storie di improbabili concatenamenti di sfighe umane.
Pensateci: durante la visione dei suoi film si è sempre lì lì per mandarlo a quel paese all’ennesimo annuncio di morte imminente, ma poi -magia del grande autore!- un tocco d’ironia, un soffio di speranza e ci si lascia condurre con il sorriso sulle labbra e gli occhi umidi alla parola “fine”.
DA TENERE:
Giustamente premiato a Cannes, il cast femminile (cioè praticamente l’unico, visto che gli uomini qui sono quasi assenti, almeno fisicamente) asseconda con partecipazione uno dei più grandi registi contemporanei, tra i pochi capaci di mescolare irresistibilmente melò e noir, dramma e commedia. Penélope Cruz (che personalmente non ritengo una grandissima bellezza) è davvero fantastica ed un suo film con il regista spagnolo vale cento partecipazioni ai sicuramente più remunerativi blockbuster hollywoodiani (“Vanilla Sky”, Sahara”, “Gothika”…).
DA BUTTARE:
Ampio respiro nei sentimenti contrapposto alla claustrofobica scelta di utilizzare pochi ambienti, quasi che fosse un film da poter portare un giorno a teatro. Per carità, non c’è nulla di male in questo, ma visto che qualcosa lo dovevo per forza trovare…
CONSIDERAZIONE FINALE:
Non è il più bel film di Almodóvar, va bene, ma vale sicuramente la pena di esser visto; non tutti i suoi lavori possono essere all’altezza di “Tutto su mia madre”, ma se anche si dovesse “assestare” su una qualità di questo livello… beh, mi trovereste comunque in prima fila ad applaudirlo.
BenSG

Tornare: tornare dalla vita, tornare da tutto, tutto torna. È questo il motto dell’ultimo film di Almodovar che sceglie, quasi paradossalmente come inizio della sua pellicola un punto di non ritorno. Un cimitero di un paesino spagnolo dove regna la stasi, dove sembra che tutto sia possibile tranne che il ritorno. Ed è proprio qui che le donne, figura sicuramente dominante nel film, curano le lapidi dei loro cari come se dovessero tornare in ogni momento. Un paese dove regna la superstizione, il mistero, dove i morti vengono trattati come se stessero per tornare da un momento all’ altro, come se fossero in filo diretto con gli abitanti del paese che li rende pazzi dallo soffiar forte del levante. Due sorelle Sole e Raimunda, rispettivamente Lola Dueñas e Penelope Cruz, legate dalla morte dei genitori avvenuta in un clamoroso incendio. Un’ amica di vecchia data Augustina, che attende invano il ritorno della madre scomparsa per un’assurda coincidenza il giorno stesso dell’incendio. Visioni, apparizioni sinistre rendono surreale e talvolta anche esasperatamente macabro lo svolgimento del film. Almodovar affronta tematiche attuali come il provincialismo, la televisione odierna, il post-modernismo in maniera arrogante e cinica e talvolta anche grottesca. Una critica palese lungo tutto il film, dove tutto è possibile e paradossale. Chi sembra pazzo in realtà non lo è, e chi sembra normale alla fine sembra essere fuori dal gioco. Ma come il titolo stesso del lavoro preannuncia il ritorno la pellicola alla fine non delude le aspettative. È un omaggio al ritorno , alla ciclicità, alla condizione attuale dove c’è da aspettarsi di tutto, dove le certezze sono poche, dove non si sa a chi e soprattutto a cosa credere. Non bisognerebbe credere ad Augustina che sostiene la coincidenza della scomparsa della madre, avvenuta lo stesso del medesimo incendio in cui persero la vita i genitori di Raimunda e Sol; non bisognerebbe credere alla loro madre, che compasa in versione oltretombesca, rivela di aver ucciso lei il marito e l’amante (madre di Augustina); non bisognerebbe credere al povero Paco, unico uomo di notevole rilevanza in tutto il fim, marito di Raimunda che sostiene che la piccola Paula non sia figlia sua e nel tentativo di violentarla viene ucciso da lei; non bisognerebbe credere neanche a Raimunda prototipo tipo del paraculo odierno rappresentato in maniera elegante da Penelope Cruz come lei sa ben sa fare; non bisognerebbe credere a niente. Invece il regista spagnolo ci insegna che bisogna credere proprio all’assurdo, forse criticando la nostra società basata su conoscenze scientifiche e razionali e che, dai fatti, continua a sbagliare, ma senza fare niente per cambiare. È forse la rappresentazione di un’ ottusità tutta nostrana , poco abituata a mettersi in discussione ed abituata a fidarsi ciecamente delle proprie credenze.
Questo lavoro è il culto dell’ impossibile, dell’ assurdo, ma è anche la dimostrazione che l’assurdo ha la stessa dignità del probabile, dello scientifico, della certezza. Dove anche nell’assurdo e nel più totale marasma, c’ è un qualcosa che torna , che da un senso anche a ciò che apparentemente non ce l ha. Insomma tutto torna, tutto “Volver”.
Una bella lezione del Regista Spagnolo che continua e ritorna a stupirci con i suoi sempre originali messaggi.
Consigliato a chi: Crede che l’Italia possa vincere i mondiali.
Sconsigliato a chi: dorma col teorema di Pitagora al posto del cuscino.
Alberto Tanas