Scheda film

Regia, Soggetto e Sceneggiatura: Benedek Fliegauf
Fotografia: Péter Szatmári
Montaggio: Xavier Box
Scenografie: Erwin Prib
Costumi: Mariano Tufano
Musiche: Max Richter
Suono: Tamás Beke e Benedek Fliegauf (designer), Arno Wilms (mixer)
Germania/Ungheria/Francia, 2010 – Drammatico/Fantascienza – Durata: 111′
Cast: Eva Green, Matt Smith, Lesley Manville, Peter Wight, István Lénárt, Hannah Murray, Ruby O. Fee
Uscita: 31 agosto 2012
Distribuzione: Bolero Film

Sale: 4

 C’era due volte…

Rebecca (Ruby O. Fee) e Tommy (Tristan Christopher) si conoscono e si piacciono ancora bambini, ma il destino decide di separarli per dodici lunghi anni. Quando Rebecca (Eva Green) finalmente ritorna nel villaggio di lui, sono entrambi ormai adulti e, dopo un iniziale imbarazzo, quell’amore che si erano promessi riesce a sbocciare. Tommy (Matt Smith) è ora un attivista ambientale e sta organizzando un’azione di boicottaggio contro un neonato centro locale che si occupa di genetica e, in particolare, di clonazione. Ma, mentre si reca verso il luogo designato con lei, perderà la vita in un banale incidente. Rebecca seguirà la più folle e passionale delle idee, decidendo di rivolgersi proprio al famigerato centro per far clonare il suo innamorato ormai defunto, portandone avanti ella stessa la gravidanza, diventando così la madre del suo redivivo amore…
Womb, ossia “grembo” o ancora, per meglio dire, “utero”, intorno al quale tutto sembra girare, dal quale tutto parte e verso il quale tutto ritornerà. Benedek Fliegauf, alla sua prima opera girata in inglese, mette in scena un soggetto fantascientifico, ma non troppo – la clonazione è già diffusa una dozzina di anni nel futuro di un tempo nel quale si usano telefoni cellulari che sembrano quelli attuali – in cui la passione va a braccetto con la scienza, affrontando il tema della clonazione già portato sullo schermo da Mark Romanek con Non lasciarmi, tratto dal romanzo omonimo di Kazuo Ishiguro, che pure aveva sottotemi amorosi, ed ancora da Michael Bay con The island. Naturalmente gli argomenti toccati non si esauriscono qui, contemplando l’utero in affitto (benché auto-noleggiato alla madre stessa), la vita dopo la morte, l’identità degli individui, l’incesto ed i limiti della ricerca scientifica.
Il volto singolare di Matt Smith (l’attuale Doctor Who televisivo) insieme a quello enigmatico di Eva Green, la quale non sembra invecchiare lungo il racconto, con i suoi begli occhi azzurri spesso sgranati è fondamentale ed indispensabile per la costruzione del personaggio di Rebecca, che assume a tratti sfumature persino horror: una donna indomita e pronta a tutto pur di ottenere ciò che più vuole, ma che ad un certo punto non sa più quali siano i suoi desideri o almeno se questi siano davvero corretti.
Fliegauf adotta uno stile molto elegante, quasi asettico, e gioca fin da subito con i diversi piani temporali – la primissima scena è in realtà l’ultima, anticipata e non più proposta – giocando molto con le ellissi – in fondo riesce a narrare un racconto lungo una trentina d’anni in meno di due ore – e spiegandoci ben poco, confidando invece molto nel nostro intelletto di attenti spettatori.
Quasi steam-punk per l’utilizzo di una tecnologia quale quella della clonazione in contrasto con ambienti rustici, come la casa del nonno di Rebecca o la nuova dimora, lontana dagli occhi e dalle chiacchiere di tutti, ai confini del mondo – tutti “non luoghi”, poiché non meglio precisati, anche se si tratta nella realtà del Nord-Europa – Womb, soprattutto in alcuni momenti della terza parte, con Tommy conteso tra la madre e la fidanzata Monica (Hannah Murray), riporta alla memoria il Ferreri de #Il seme dell’uomo, sviluppando in tutto il film tematiche che non sarebbero dispiaciute al maestro milanese.
Molto suggestiva ed affascinante, la pellicola di Fliegauf decide nel finale di non esplodere in tragedia, come ci si sarebbe attesi fin là, sfociando invece nella naturale conclusione di quel rito di (nuova) vita che era stato celebrato sino a quel momento, rimettendo ogni cosa al suo posto.
Pur con il rischio costante di restare troppo algido e pretestuoso, anche per i suoi campi lunghi nei quali vuole evidenziare il distacco da eventi e personaggi, contrastati dagli inquietanti primi piani della Green, Womb evita di fornire troppe spiegazioni, ma riesce a colpire lo spettatore, più nella mente che nel cuore, lasciandogli infiniti spunti di riflessione.
Raro perché… è un film riuscito, ma a tratti asettico e non certo per tutti.

Voto: * * *½

Paolo Dallimonti